Maturità: quanto vale il 100 e lode in Puglia?

Sarà l’aria, il mare, la gioia di vivere, la contiguità con altri continenti e altri paesi, la cucina sana, o il fosforo nel pesce. Fatto sta che i ragazzi pugliesi sono proprio dei geni se confrontati con i lombardi, i trentini, i veneti e i friulani. E quindi “lode”, letteralmente, alla Puglia e ai ragazzi del Sud, i più “smart” dello Stivale. La punta (di diamante).

In Italia, tra i “maturi” con 100 e lode addirittura 1 su 5 è pugliese (700 in tutta la regione, il 2 per cento di quanti si sono presentati). Capre e somari invece nel Trentino, dove i “lodati” sono appena 14 (lo 0.4 per cento dei candidati). Ma se questa è la fotografia scattata dal ministero ai risultati degli esami di Stato nelle superiori, come spiegare l’incongruenza coi test di valutazione Invalsi, diffusi appena due settimane fa? Un’incongruenza culturale e geografica. Nella provincia di Trento si sono avuti i punteggi più alti, l’eccellenza scolastica, le teste più brillanti (in generale nel Nord-Est e in Lombardia), con un abisso misurato dai test di 27 punti in italiano e 40 in matematica rispetto alle regioni con i risultati peggiori che sono, guarda caso, Sicilia e Calabria (in generale il Meridione e le isole). Allora com’è possibile che nei test oggettivi gli studenti del Nord risultino i più preparati, mentre i più “lodati” alla fine sono al Sud? Com’è possibile che i diplomati col massimo dei voti siano 408 in Campania (lo 0.8 per cento) e in proporzione anche di più in Calabria (195, ossia l’1.2), confrontati coi miseri 157 (lo 0.3) della Lombardia, i 136 del Veneto (0.4) e i 31 del Friuli (0.4)? I conti, è evidente, non tornano.

Altri tre “dati” prima di fare qualche “valutazione” anche noi.

Il primo: il Meridione si aggiudica il primato dei professori imbroglioni che suggeriscono le risposte degli Invalsi ai loro studenti. C’è un sistema statistico per smascherarli, l’esito dei calcoli è implacabile: il “cheating” (l’imbroglio) è diffuso in Calabria, Sicilia, Molise e Campania. Un caso?

Secondo dato: agli esami di maturità passano praticamente tutti, la nostra ormai è una scuola di massa (si è maturato il 99.2 per cento degli ammessi, in terza media addirittura il 99.7). E questo rende assurdo l’ultimo dato.

Il terzo: il costo di questi inutili esami di maturità è di 100 milioni di euro (60 solo per le commissioni d’esame). Ma se passano quasi tutti, e se i risultati non sono attendibili, a che serve spendere questi soldi e non usarli invece per ristrutturare le scuole?

Allora cos’abbiamo? chiederebbe il detective davanti alla scena del delitto. Abbiamo una scuola ingiusta, che non aiuta e non premia i migliori, che agli esami d’ammissione universitari nel mondo presenta una popolazione di ragazzi non valutati per i loro meriti ma premiati o castigati a seconda della generosità o severità “geografica” (per inciso, sarebbe sbagliata la soluzione che sembra proporre l’assessore all’Istruzione della Lombardia, Valentina Aprea, quando dice che bisogna “spronare i docenti ad arrivare anche al 9, anche al 10 se gli studenti meritano”, bisognerebbe piuttosto restituire credibilità al sistema con valutazioni oneste ovunque). Abbiamo una disparità di preparazione culturale che vede il Sud arrancare in tutte le materie fondamentali, ma poi “eccellere” formalmente grazie alle maniche larghe e all’imbroglio. Abbiamo gli insegnanti e le scuole che sfuggono a qualsiasi controllo o valutazione, grazie alle resistenze anacronistiche ma vincenti dei sindacati. Abbiamo una popolazione di docenti mediamente di età troppo avanzata e che pure in vistosi casi di inadeguatezza risultano inamovibili. In più, altissima è la percentuale di donne perché storicamente in Italia l’insegnamento femminile ha garantito posti e stipendi compatibili con la maternità. Abbiamo docenti inchiodati alle cattedre anche se restano a casa o vanno all’estero in aspettativa, costringendo i ragazzi ad affidarsi a una girandola di sostituti e supplenti.

Abbiamo, soprattutto, una scuola che penalizza i “nerd”, i secchioni, non riconosce il merito, frustra il potenziale e non vede o favorisce l’impegno, la capacità di migliorare. Così i diplomati entrano nel mondo universitario e/o del lavoro privi di bussola, di orientamento, senza parlare le lingue e senza conoscere i meccanismi conclamati di presentazione e valutazione del proprio stesso “lavoro”.

E l’Italia si allontana sempre di più dal resto del mondo.

YOU MAY ALSO LIKE