Matteo Martari: «Non è come nelle fiction, l’amore vero esiste»

«Il matrimonio è una cosa esagerata: come se uno che ha fame comprasse un ristorante». Non è William Shakespeare, ma Renato Pozzetto, un mito assoluto del cinema italiano per Matteo Martari. L’attore che nei panni del cardiochirurgo Alberto Ferraris, nella serie di Rai1 Cuori, ha spezzato, appunto, i cuori di migliaia di donne. L’imperituro fascino del camice bianco. E anche di una voce profonda, di uno sguardo da lupo siberiano e di un romanticismo tenuto ben nascosto. Lui per un matrimonio comprerebbe anche un ristorante. Così come il suo personaggio, uno dei protagonisti di 4metà, il film diretto da Alessio Maria Federici e appena uscito su Netflix. Davanti a un caffè, in un bar del quartiere romano di Monteverde, spiega come la costruzione di un amore «spezza le vene delle mani».

Nel film affronta due storie con donne molto diverse. Lei che rapporto ha con l’altra metà del cielo?

Trovo che la relazione più complicata sia con se stessi, prima di quella con chiunque altro. Nel mio caso specifico, le donne.

Nella commedia 4metà sembra che il rapporto tra uomo e donna sia come un giro sull’ottovolante, è davvero così?

In un certo senso l’andamento per la stragrande maggioranza pare essere quello: amore, sesso, tradimenti, litigate, riappacificazioni. Ma io resto attaccato alla mia visione della coppia.

Quale sarebbe?

Una relazione c’è dove esiste la nascita di una famiglia, il matrimonio e la forza di volontà nel non cadere in tentazione. O meglio, l’essere più forti delle proprie tentazioni. Ho un’idea molto romantica della costruzione di un amore.

Si può fare?

Sì, partendo da una forte attrazione e mettendoci grande impegno. Non tanto all’inizio, quando tutto sembra bellissimo, ma dopo. Come ogni progetto serio a lungo termine, perché di questo si tratta, richiede uno sforzo.

Il suo personaggio però non ce la fa a resistere alle tentazioni, perché?

Non lo condanno, ma nemmeno giustifico. Un uomo deve assumersi le proprie responsabilità.

Perché lei, nella fiction, confessa?

Perché me lo si sarebbe letto in faccia. E a quel punto allora è meglio dirlo.

Le sue compagne reagiscono in modo diverso, ma entrambe perdonano. Non sarà, come diceva il regista Jean-Luc Godard, che le donne amano le mezze misure?

Le protagoniste femminili mettono in scena l’impegno serio, quello che serve. Perdonare un atto del genere significa credere nel rapporto. Io non so come reagirei. Non vorrei neanche pensarci.

Il tradimento è così importante?

Forse le cose importanti sono altre, certo saperlo credo non sia piacevole. Siamo più legati al fatto che la cosa ci faccia soffrire rispetto alla sua effettiva importanza. Voglio conservare una parte un po’ immatura dove continuo a pensare che esista il sogno. Se una persona non ne ha più, non ha alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà, come diceva Ayrton Senna. E io questa realtà l’ho vissuta a casa.

Che rapporto avevano i suoi genitori?

Sono insieme da una vita, hanno passato momenti difficili, ma si sono fatti forza, compagnia, si proteggono, si amano. Ho questa immagine, mi auguro che possa essere anche la mia e che un giorno si concretizzi.

Forse quelle erano altre generazioni capaci di resistere a ogni urto della vita...

In fondo l’umanità è sempre la stessa, ma allora c’era un’altra volontà. Per esempio, una volta i colletti e i polsini delle camicie si staccavano, si aggiustavano, erano pensati per farti compagnia a lungo. Oggi tutto è creato per abbandonarti il prima possibile. È questo vale per ogni tipo di relazione.

Anche per l’amicizia? Sembra un caso, ma ogni suo personaggio si trova a dover scegliere tra amore e amicizia.

L’amicizia, soprattutto tra uomini, è una delle forme più pure di legame e solidarietà. Scevra di interessi e secondi fini. C’è il piacere di stare insieme, di avere interessi e punti di vista comuni. È un legame affettivo. Che per quanto mi riguarda passa anche sopra l’amore. È un valore estremo cui credo tantissimo. E poi l’essere umano non è fatto per stare da solo.

Perché non possiamo stare da soli?

Perché non c’è crescita senza il confronto. Magari ci sentiamo a nostro agio da soli. Io andrei a vivere in un bosco in solitudine, ma poi avrei bisogno di scendere a valle.

Però lei è un traditore seriale, almeno nella finzione. Anche in Cuori inganna Cesare Corvara, il suo migliore amico.

Alberto ha l’attenuante che la donna contesa era il grande amore. È un caso particolare. Mi ha divertito vedere come sui social tutti hanno tifato per loro, asfaltando l’amicizia. L’idea dell’amore da favola piace talmente tanto che se esiste vince su ogni cosa. Però poi dobbiamo rientrare nel mondo razionale. Se Delia e Alberto fossero stati insieme sarebbe stato probabilmente un inferno.

Ma in fondo tutti siamo attratti dall’inferno o no?

Se lo contestualizziamo pensando a Dante, è certamente la cantica più amata. Tutti desideriamo conoscere meglio la cosa che ci atterisce: la morte. Vogliamo dare un’occhiata più profonda a quello che potrebbe capitarci.

La morte è un pensiero che l’attraversa?

Sono consapevole della sua esistenza, sarebbe sbagliato il contrario. Ma ormai abbiamo perso il significato di morte e questo ci dà un grande distacco dal valore della vita. È come non sapere cosa sia il bene o il male. Basta leggere Dostoevskij e I fratelli Karamazov per capire.

Ha avuto paura durante la pandemia?

Non c’è stata solo la paura della morte, ma soprattutto quella di perdere ciò che avevamo. Il prendere consapevolezza che la nostra volontà è limitata. Possiamo arrivare solo fino a un certo punto poi ci dobbiamo misurare con gli eventi circostanti, come il confinamento. All’inizio sembrava una questione prettamente fisica, quando in realtà il confinamento vero è stato quello psicologico.

Lei ne ha sofferto?

Ho sentito più quello mentale. Stavo vivendo un momento difficile. A Roma mi era scaduto il contratto d’affitto della casa e avrei dovuto trasferirmi a Torino per girare Cuori, ma la serie non partiva. Così l’11 marzo ho noleggiato una macchina per tornare a Verona. L’autostrada era deserta. Gli autogrill aperti sembravano città fantasma. Quando sono arrivato c’erano solo silenzio e sirene. Un silenzio profondo, angosciante che spero di dimenticare, ma temo sarà uno di quei ricordi indelebili. Molti hanno già dimenticato. È un sistema di difesa degli esseri umani.

Si ricorda invece dei suoi inizi da panettiere?

Certo, alle due e mezza del mattino ero già in panificio, fino a mezzogiorno. Facevo gli impasti. È stata un’esperienza fantastica, basta fare pace con gli orari. Quando ti svegli e fai colazione alle otto di sera, gli altri cenano.

Cosa ha imparato?

Mi ha suggerito come non perdere la praticità. Il saper usare le mani, il contatto con le materie prime, la trasformazione. Tutto questo esiste ed è ancora forte in piccole realtà. E l’Italia è fatta di queste realtà, non è solo Roma e Milano.

Il mondo dell’arte e della cultura ha particolarmente sofferto la pandemia, cosa si augura ora?

Sarebbe il caso di riuscire a risolvere questa situazione. Confido nell’umanità, nella ricerca, nella scienza e nella fede. Quando scienza e fede riescono ad andare d’accordo.

È credente?

Molto. Vengo da una cultura profondamente cattolica.

Alla fine esiste l’anima gemella come si domanda 4metà?

Il film sostiene che non esiste. Secondo me siamo tutti in un cammino, in movimento. Con qualcuno condividiamo cento metri, con altri magari cento chilometri. Ma non è detto che la persona con cui hai fatto un percorso più breve sia meno importante di chi ti ha accompagnato a lungo. Forse esistono più anime gemelle e non una sola.

Allora niente mito della metà mela che ci completa, come scrisse Platone nel Simposio?

Forse non esiste l’altra metà della mela, ma c’è un meleto intero.

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