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Così la mafia cinese colpisce l'Italia

È l’una di notte quando, nel cuore del distretto tessile di San Giuseppe Vesuviano, 30 chilometri da Napoli, un commando di killer armati di pistole e machete entra nell’albergo-ristorante cinese Villa Paradiso. Gli uomini, urlando, si scagliano su tre persone sedute a un tavolo. Vittime e aggressori sono cinesi. Il sangue schizza fin sugli improbabili affreschi di paesaggi asiatici. Una mattanza. Su Zhi Jian, 28 anni, colpito da trentatré coltellate, muore poco dopo in ospedale.

Questo accadeva una notte di maggio del 2006. Undici anni dopo, è il giugno 2017, nella zona industriale dell’Osmannoro vicino a Firenze due pachistani dipendenti di una ditta di trasporti vengono circondati da un gruppo di cinesi mentre caricano un camion. Vengono feriti gravemente, uno a revolverate e l’altro con martellate al petto. La scia di sangue che lega questi due episodi, avvenuti a centinaia di chilometri di distanza, è quella della mafia cinese in Italia (e con mille diramazioni in molte città europee).

Chi è Zhang Naizhong, l’Uomo nero

Per anni, squadra mobile di Prato e Servizio centrale operativo della polizia hanno pedinato, intercettato, ricostruito gli affari di colui che per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Firenze è il capo dei capi di una potente e feroce organizzazione criminale, con radici nelle regioni cinesi dello Zhejiang e del Fujian e, appunto, «terminazioni » nelle chinatown italiane ed europee: il suo nome è Zhang Naizhong, soprannominato l’Uomo nero. È un imprenditore di successo nel trasporto merci su gomma. Nel nostro Paese si sposta sempre su auto di lusso con autista. Uomo scaltro e spietato, secondo le accuse ha iniziato la sua carriera criminale da clandestino in Francia, a Parigi: qui, negli anni Novanta faceva lo «spallone» nel traffico dei wu ming, i «senza nome» arrivati in Occidente privi di permesso di soggiorno e impiegati poi come manodopera nei laboratori tessili di mezz’Italia.

La prima volta Zhang Naizhong è stato arrestato, alla fine degli anni Novanta, nel corso di un’indagine del tribunale di Roma sull’immigrazione clandestina. Scarcerato in breve tempo, ha fondato la società di trasporti Euro Anda, sempre mantenendo i contatti con importanti malviventi in Cina. Parallelemente, ha investito in vari locali notturni della Capitale, in cui è stato accertato lo sfruttamento della prostituzione, anche minorile, e lo spaccio di droghe pericolose come la ketamina.

Zhang ci ha saputo fare e, secondo quanto hanno ricostruito gli inquirenti fiorentini, abbinando fiuto per gli affari e violenze contro rivali e clienti, ha raggiunto alla fine il monopolio italiano nel trasporto merci. Illuminante una frase detta ai suoi (e intercettata): «Prima non sapevo come gestire gli affari perché sapevo solo fare il mafioso...».

Il tribunale di Napoli lo ha condannato in primo grado per favoreggiamento proprio per la mattanza nell’hotel ristorante Villa Paradiso di San Giuseppe Vesuviano. Ma è stato poi assolto in appello e ha continuato a ingrandirsi lungo le rotte della logistica nel nostro Paese. Stava puntando così a scalare il mercato europeo quando gli agenti del Servizio centrale operativo della polizia e della Mobile di Prato, nel gennaio scorso, lo hanno scalzato dal trono con l’operazione «China Truck», con 53 indagati. A incastrarlo, oltre agli elementi raccolti negli anni dagli inquirenti, un supertestimone: Deshun Weng, alla testa della Eurotransport, una società di logistica rivale di Naizhong. Anche lui è stato coinvolto negli scontri con gli uomini della Euro Anda, ma è soprattutto un insider che conosce i retroscena di molti episodi di violenza, il Tommaso Buscetta di questa inchiesta.

Il business cinese in Europa

Weng ha confermato le tesi investigative e ha raccontato di sparatorie, attentati incendiari, sequestri e omicidi dietro cui ci sarebbe sempre l’Uomo nero. Sullo sfondo, in uno scenario più vasto, una guerra senza esclusione di colpi per aggiudicarsi le tratte su cui viaggiano le merci provenienti dalla Cina. Un business smisurato e un movente più che concreto: nel 2017, l’Agenzia delle dogane ha registrato più di sei milioni di tonnellate di merci cinesi in ingresso in Italia, per un valore di oltre 25 miliardi di euro. Si tratta di milioni di container che sbarcano nei maggiori porti italiani ed europei: il Pireo in Grecia, Napoli, Amburgo in Germania e Bilbao e Valencia in Spagna. Da questi terminali, ogni giorno, muovono migliaia di tir diretti ai depositi di stoccaggio. E da qui viene alimentata in tutt’Europa la rete del commercio al minuto attraverso una flotta infinita di furgoni...

È un business destinato a moltiplicarsi con la «Belt and road iniziative», il piano di investimenti da 100 miliardi di dollari che il presidente Xi Jinping vuol destinare a infrastrutture marittime e viarie, inclusi gli scali italiani, per espandere i commerci cinesi in Occidente. Proprio ricostruendo questi percorsi, le inchieste della gendarmeria francese, della guardia civil spagnola, della bundeskriminalamt tedesca hanno trovato punti di contatto con le indagini della Dda napoletana e fiorentina. Dal canto loro, ogni volta che investigatori e magistrati italiani hanno provato a tracciare le linee commerciali su cui si muovono i mezzi della Euro Anda, con sede a Roma in via del Maggiolino, e filiali a Prato, Parigi, Madrid e Neuss, in Germania, si sono imbattuti in un cadavere.

L'operazione "China Truck" e le altre inchieste

In gennaio, luogotenenti e sicari dell’organizzazione di Zhang Naizhong andranno alla sbarra a Firenze. Tra le accuse: spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo, ma anche usura, estorsione e gli immancabili favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e contraffazione di marchi di moda. Tutti reati che, secondo il sostituto procuratore antimafia fiorentino Eligio Paolini, sono serviti a mantenere il potere e a finanziare le attività di trasporti che tale potere hanno alimentato. Il giudice delle indagini preliminari di Firenze ha contestato anche l’aggravante mafiosa: l’assoggettamento degli affiliati, l’intimidazione delle vittime, l’omertà della comunità cinese richiama secondo il gip ruoli e modalità della mafia siciliana degli anni Ottanta, sia pure in modo ancora rozzo e sanguinario.

Il tribunale del riesame e la Cassazione hanno tuttavia negato che si tratti di mafia, scarcerando gran parte degli indagati e mettendone altri, come il presunto «capo dei capi», ai domiciliari con il braccialetto elettronico. La complessa partita giudiziaria tuttavia è in corso.

«China truck» non è comunque l’unica indagine che ipotizza traffici criminali cinesi in tutto l’Occidente. Altre inchieste svelano punti di contatto inquietanti con l’organizzazione di Zhang Naizhong. In Spagna si sta svolgendo un processo-monstre contro un’associazione a delinquere cinese con interessi nella tratta di clandestini, trasferimenti illegali di miliardi di euro, spaccio di merce contraffatta. A guidarla, secondo l’inchiesta che rischia di coinvolgere personalità di spicco anche istituzionale, ci sarebbe Gao Ping, mecenate d’arte, proprietario di squadre di calcio e amico dei reali di Spagna.
Le merci clandestine che ha nascosto a Fuenlabrada, l’enclave commerciale cinese vicino a Madrid, avrebbero viaggiato su camion di criminali cinesi che facevano consegne anche nei depositi di Zhang Naizhong. Ancora: un’inchiesta della guardia di finanza italiana, partita nel 2012 contro 227 imputati e rimasta ferma nel tribunale di Firenze fino alla prescrizione arrivata la scorsa estate, aveva ricostruito il flusso sotterraneo del denaro frutto di attività lecite e illecite, dall’Italia alla Repubblica popolare cinese. Ogni anno, da Prato, attraverso i «money transfer» e la compiacenza di Bank of China, veniva spedito in Oriente oltre mezzo miliardo di euro. Gli inquirenti hanno seguito uno dei corrieri incaricati di inviare il denaro all’estero, il suo nome è Ye Zhekay. In varie tranch ha depositato un milione e 300 mila euro in un’agenzia pratese di trasferimento valuta. Ye Zhekay era il referente di Zhang Naizhong in Francia.

Prato, il fulcro della malavita cinese

In dicembre saranno infine rinviati a giudizio i 92 cinesi indagati per traffico illecito di rifiuti pericolosi dai Carabinieri forestali della Toscana. Hanno scoperto come alcuni trasportatori cinesi di Prato siano stati «collettore» per tonnellate di scarti tessili e plastici. I rifiuti (con la complicità della camorra) venivano raccolti in aziende del Nord e spediti a Shangai come materie prime destinate a nuove produzioni. Oggetti in plastica fuorilegge che la malavita orientale importava clandestinamente, come i 25 milioni di giocattoli pronti per finire sotto gli alberi di Natale e sequestrati lo scorso 26 novembre dalla Finanza in un capannone vicino a Napoli.

Intanto a Prato, fulcro della malavita cinese, si continua a sparare. A luglio, in mezzo ai bambini che giocavano in un parco cittadino, due gruppi di cinesi si sono affrontati a colpi di pistola. Poi d’improvviso, alle soglie dei processi che si stanno per celebrare contro le organizzazioni criminali, è cominciata una strana quiete. O, più probabilmente, è un’ennesima e fragile pax mafiosa. 

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