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Italia-Cina: c’è un bancomat per la droga

Italia-Cina: c’è un bancomat per la droga

Nel nostro Paese una rete di «banche» clandestine cinesi (nascoste dietro normali negozi) permette trasferimenti per miliardi di euro. Un sistema usato per traffico di stupefacenti e riciclaggio di denaro, come testimoniano diverse inchieste.


Lo scorso marzo vengono sequestrati a Firenze e Prato 74 mila euro di commissioni incassate su movimenti per ben 3 milioni trasferiti illegalmente in Cina. La «banca» clandestina usava come paravento un negozio di materiale elettronico. Nella rete della Procura fiorentina finiscono in manette due cinesi e altri 13, tutte persone della stessa nazionalità, sono indagate per associazione a delinquere, attività bancarie illegittime ed evasione fiscale.

È la punta dell’iceberg di un sistema sotterraneo per il trasferimento di denaro, che sarebbe ramificato in tutta Italia. La Guardia di finanza ha istituito un reparto speciale che indaga su movimenti per 1-2 miliardi di euro l’anno di una «banca sotterranea cinese» con «filiali» da Roma a Firenze e Prato fino a Padova, Napoli e Reggio Calabria. Un sistema creditizio illegale utilizzato anche dai trafficanti di droga legati alla criminalità italiana. La premier Giorgia Meloni ha chiesto di approfondire la penetrazione cinese in Italia al Viminale, Fiamme gialle e intelligence. Le indicazioni della presidenza del Consiglio vanno in due direzioni, spiega una fonte di Panorama: «Sono sotto osservazione i cosiddetti “commissariati” cinesi composti da agenti che dovrebbero avere altre funzioni, ma in realtà svolgono attività di controllo nei confronti delle comunità e di possibili oppositori». Il secondo tema riguarda i trasferimenti di denaro che sfuggono alla vigilanza. Solo a Prato, la Guardia di finanza calcola che l’evasione fiscale legata ad attività cinesi arrivi a un miliardo di euro.

Francesco Pinto, sostituto procuratore capo di Genova, ha dichiarato all’agenzia stampa Reuters che «a monte dell’attività bancaria clandestina c’è un’enorme disponibilità di liquidità dei gruppi cinesi in tutto il mondo». L’intelligence, nella relazione annuale presentata al Parlamento a fine febbraio, ha denunciato che «spregiudicati imprenditori sinici, anche attraverso il ricorso ad articolati schemi di evasione fiscale e riciclaggio, cui spesso si accompagnano fattispecie di sistematica raccolta e trasferimento in madrepatria dei proventi di attività illegali, sono riusciti a consolidare il loro posizionamento all’interno di taluni settori economici nazionali». La «banca» illegale scoperta in Toscana accoglieva i clienti, tutti imprenditori cinesi che operavano nel settore della pelletteria e dell’abbigliamento e ritirava «il contante che si intendeva trasferire senza essere tracciati dalla Banca d’Italia», afferma una nota della Procura di Firenze. Il negozio di elettronica usato come copertura si trovava nel capoluogo toscano e aveva una filiale a Prato, storico insediamento della comunità cinese.

Gli importi minori venivano gestiti tramite WeChat e AliPay, app con sede in Cina che consentono trasferimenti di denaro per mezzo di carte di credito. Le somme consistenti seguivano un percorso più complicato: il denaro era anticipato tramite conti correnti aperti nel Paese asiatico in favore di altre persone nella madrepatria indicate dagli stessi clienti; il contante raccolto in Italia era poi trasportato, anche fisicamente, in Cina dai «trasferitori». A causa delle restrizioni sui voli dettate dalla pandemia i «banchieri» clandestini avevano optato per il trasporto del denaro via container. L’inchiesta di Firenze ha scoperto anche un sistema di copertura grazie ai beni di lusso. Talvolta venivano acquistati nel nostro Paese oggetti costosi su indicazione di connazionali residenti in Cina, che versavano l’importo equivalente, oltre la commissione per il servizio, sui conti esteri degli indagati.

Il servizio occulto di trasferimento fondi costava il 2,5 per cento dell’importo trasferito. Su 3 milioni movimentati erano stati incassati, come provvigione, 75 mila euro. Le ombre più pericolose riguardano i cartelli della droga che utilizzano le banche clandestine. Negli ultimi cinque anni in Italia sono state aperte sei indagini su narcotrafficanti dall’America Latina, Marocco e Spagna, che si sono appoggiati a reti di pagamento sotterranee cinesi. Non solo: Anne Milgram, a capo del servizio antidroga americano, ha rivelato in un’audizione al Senato a Washington che i cartelli messicani utilizzano il sistema cinese «nel mondo per facilitare il riciclaggio del denaro sporco». Secondo le autorità Usa gli «istituti di credito» segreti sono «una delle nuove minacce più preoccupanti nella lotta al traffico di droga».

Il denaro viene movimentato attraverso una rete di fiduciari. I clienti depositano una somma a un broker in uno Stato e un referente in altre parti del mondo paga l’importo equivalente al destinatario. Una specie di «hawala», il trasferimento informale di denaro sfruttato anche dai gruppi jihadisti, che in Cina chiamano «fei qian» (denaro volante). «Il sistema bancario cinese non è così efficiente» spiega Federico Varese, docente di criminologia a Oxford. «Per questo viene utilizzato l’hawala che non va demonizzato, ma è ovvio che oltre alle rimesse degli immigrati può passare di tutto». Lo scorso novembre sono state arrestate, tra Italia e Spagna, oltre 40 persone coinvolte in un vasto traffico di stupefacenti compreso Rosario D’Onofrio, soprannominato Rambo, ex militare ed ex procuratore capo dell’Associazione italiana arbitri. Secondo il mandato d’arresto avrebbe versato 180 mila euro a un intermediario nella Chinatown milanese per pagare 35 chili di hashish dalla pensola iberica.

Il cinese, con un semplice sms, ha gestito l’operazione addebitando a Rambo una commissione di 2.700 euro. Poca cosa rispetto al trasporto delle sei tonnellate di droga a cura delle due bande milanesi coinvolte nel traffico fra Spagna e Italia che ricorrevano «a strumenti di trasferimento e riciclaggio del denaro tramite i “servizi” garantiti dalla banca segreta cinese», secondo i Gruppi d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) della Guardia di finanza. In un’altra indagine, che ha portato al sequestro di milioni di euro e 720 chilogrammi di stupefacenti arrivati dal Marocco, sono saltate fuori imprese in Toscana e a Roma che impiegavano il sistema simile all’hawala attraverso «corrispondenti cinesi» nel Nordafrica per pagare i trafficanti di droga.

La Banca d’Italia ha lanciato l’allarme su attività, illecite e non, collegate ai cinesi, per un valore di 300 milioni di euro, che viaggiano su canali finanziari sotterranei con provvigioni tra il 2 e il 5 per cento. L’ultima relazione annuale sottolinea che «sono pervenute diverse segnalazioni di operazioni sospette relative a trasferimenti di fondi di ammontare rilevante disposti da società italiane verso la Cina (…) pur esternando un’apparente legittimazione commerciale, sono finalizzati al mero trasferimento di somme tra soggetti, in questo caso italiani e cinesi, per il regolamento di affari illeciti di varia natura». Negli ultimi dieci anni l’istituto nazionale ha registrato un crollo delle rimesse regolari dei cinesi in Italia dai 2,67 miliardi di euro del 2012 agli appena 22 milioni nel 2021. Il sospetto è che siano aumentati i trasferimenti illegali soprattutto verso le città di Fuqing e Wenzhou, nella provincia cinese di Fujian, terminali del sistema di credito clandestino.

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