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M5S, è giunta l'ora di Di Battista?

Da sempre la politica italiana è infettata da un virus che non si riesce a debellare: quello della divisione. Anche il primo partito di opposizione, il Pci, stiamo parlando di quello che aveva tra i suoi militanti un colosso sacro come Antonio Gramsci, nacque da una scissione, decisa a Livorno nel 1921. Negli anni che vennero dopo, soltanto i partiti guidati da leader autoritari non subirono divisioni. Penso al Psi di Bettino Craxi e oggi alla Lega di Matteo Salvini. In queste due parrocchie i fedeli hanno sempre ubbidito al capo, senza fiatare. Del resto ne abbiamo una prova osservando la Lega del Dittatore. Nessuno osa opporsi o fare domande scomode. Il dissenso è una malattia sconosciuta. Se a Natale Salvini dicesse «oggi andiamo al mare per fare un bagno!», ci sarebbe la corsa dei militanti a tuffarsi nella prima pozza d’acqua.

Ero convinto che anche i sostenitori del Movimento 5 Stelle fossero così. Luigi Di Maio sembrava inattaccabile. Domenica 26 maggio 2019, nel giorno fatale delle elezioni europee, ha perduto ben sei milioni di voti, una voragine che rischiava di mettere il suo partito con le spalle al muro. E costringere il capo politico degli stellati alle dimissioni immediate anche come vicepremier di Giuseppe Conte.
Invece non è accaduto nulla. Di Maio è ancora in sella. E guida anche un ministero economico di importanza primaria. Per quale motivo è accaduto questo miracolo? Forse lo ha deciso Beppe Grillo? Non credo che ne abbia più la forza. È tutto merito del guru stellato, il giovane Casaleggio, figlio del guru storico che ha affiancato Grillo nella nascita dei Cinque stelle? Mi sembra un’ipotesi campata in aria. Come è accaduto altre volte nella politica italica è stata la mancanza di un competitore in grado di insidiare la poltronissima di Gigino. Ma oggi il competitore esiste. Si chiama Alessandro Di Battista, anni 41, un grillino di lunga data, ma anche un tizio molto originale.

Ne volete una prova? Ecco il curriculum scritto da Di Battista per dimostrare di essere non soltanto un politico, ma anche un intellettuale. «Mi sono laureato in Discipline delle arti, musica e spettacolo presso l’Università di Roma Tre. Ho inoltre conseguito il Master in Tutela internazionale dei diritti umani. In seguito ho lavorato per un anno come cooperante in Guatemala, occupandomi di educazione e di progetti produttivi nelle comunità indigene. Nel 2008 mi sono occupato di microcredito e istruzione in Congo-Kinshasa e di diritto all’alimentazione per conto dell’Unesco. Nel 2010 sono stato in Argentina, in Cile, in Paraguay, in Ecuador, in Colombia, a Panama, in Costa Rica, in Nicaragua, in Guatemala e a Cuba per scrivere un libro sulle nuove politiche continentali».

Come si vede a occhio nudo, un curriculum atomico rispetto a quello del povero Gigino Di Maio. Lui può vantare, al massimo, la propria esperienza di steward che portava le bibite agli ospiti della tribuna vip dello stadio di calcio San Paolo di Napoli. Per di più Di Maio non ha mai scritto un libro. Mentre Di Battista ne ha scritti ben tre. Dai titoli furbastri. Uno recita: A testa in su. Investire in felicità per non essere sudditi. E l’altro ci spiega Meglio liberi. Lettera a mio figlio sul coraggio di cambiare. L’ultimo è Politicamente scorretto.

«Cambiare» è un verbo che sta diventando di moda nel baraccone dei Cinque stelle. Mentre scrivevo questo Bestiario, la Repubblica ha dedicato il titolone di testata a un grido di allarme lanciato da Roberto Fico, il presidente della Camera, e rivolto al mondo degli stellati: «Cambiamo o sarà troppo tardi. Siamo diversi, vanno rivisti identità e valori. Il Blog del Movimento non basta, serve un congresso per non finire calpestati...».
Può essere Di Battista il capofila di questo sommovimento epocale? Difficile dirlo. Lui non è per niente amato dallo stato maggiore dei Cinque stelle. Lo considerano un intruso che se ne stava al sicuro in Guatemala mentre in Italia il Movimento lottava per sopravvivere. E a proposito del disastro europeo del 26 maggio c’è anche chi aggiunge: «Di Battista si è limitato a guardare la nostra drammatica resistenza».

I più accaniti contro di lui aggiungono: «Ad Alessandro piace piacere. Sarebbe un ottimo animatore di un villaggio turistico. Invece si è messo in testa di impadronirsi del nostro Movimento e poi di diventare il capo di un nuovo governo. La verità è che è stato fuori dall’Italia per troppo tempo. E non si è accorto che da noi la politica è diventata peggio della giungla del Guatemala. Come diceva un vecchio ministro della Prima Republica è “sangue e merda”. Infine, va troppo in tivù. E crede che basti una bella faccia da quarantenne ben tenuto per accreditarsi come un dirigente politico di primo piano».

Che cosa accadrà nelle prossime settimane dentro il Movimento creato da Grillo e dal fu Casaleggio senior? Nessuno lo sa. Ma in fondo in fondo questo rimane un vantaggio per chi deve scriverne ogni settimana come il vecchio Pansa. Un minimo di sorpresa giova sempre. Di Maio ammazzerà Di Battista? Oppure sarà costui a mettere in scena una vendetta totale che non lascerà in piedi nessuno della vecchia guardia? Non resta che aspettare con un taccuino in mano e una biro affilata come un coltello. Il sangue scorrerà, è certo. A meno che l’Europa ci spedisca la famosa troika, che ci obbligherà a diventare sudditi di un Paese lontano che non sarà affatto tenero con noi poveri italiani.

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