La Cina si fa bella e per i grandi brand si apre l’eldorado

Sono le 9 del mattino e un nutrito gruppo di manager della divisione lusso de L’Oréal si mescola tra i passeggeri nella modernissima Shanghai Hongqiao railway station, da cui partono i treni ad alta velocità per Nanchino e Pechino. Ma il loro biglietto indica una meta diversa: Zhenijang. Per chi opera nel mondo del lusso, infatti, Cina non vuol dire ormai solo Pechino, Shanghai, Chengdu o Guangzhou, le quattro megalopoli della prima fascia, ma anche città come Zhenijang, 1,2 milioni e nessuna caratteristica in apparenza che la renda importante o famosa. Se non il particolare che rientra in quella galassia di agglomerati urbani oggi minori per densità abitativa e quota di prodotto nazionale lordo (sono definiti di seconda, terza, quarta e quinta fascia) ma destinati a crescere rapidamente in termini di popolazione e soprattutto di reddito disponibile. Città, dai nomi spesso impronunciabili per un occidentale, che sono la patria dei nuovi ricchi della provincia made in China, ansiosi di regalarsi un abito, una borsa e un prodotto di bellezza delle firme più prestigiose. Così non deve stupire che a Zhenijang, città di terza fascia a 400 chilometri da Shanghai, dove al posto dei suv con autista della città dell’Expo si vedono motorini e bici, e dove molte strade sono ancora in fase di asfaltatura, crescano come funghi centri commerciali che mostrano griffe esclusive come Cartier e Baume&Mercier.

Proprio qui L’Oréal ha schierato i suoi marchi più prestigiosi e costosi, a partire da Lancôme, con lussuosi e curatissimi corner (spazi beauty) in uno scintillante centro commerciale chiamato Yaohan che nel gigantesco reparto beauty non ha nulla da invidiare a una Rinascente di piazza del Duomo a Milano. «Solo nel 2011 sono stati costruiti in Cina 350 nuovi shopping center e la maggior parte si trova nelle città delle fasce minori» racconta Stephane Rinderknecht, vicepresidente de L’Oréal Luxe China.

Dicono previsioni attendibili che nel 2020 ci saranno 260 milioni di cinesi in più rispetto a oggi a far parte della middle class facoltosa: proprio quella classe media da cui, secondo un recente studio della Exane Bnp Paribas, arriverà il 70 per cento della futura spesa in beni di lusso. E gran parte di loro saranno abitanti di città delle fasce minori. Una prateria di consumatori sparsi oggi in 88 città da oltre 5 milioni di abitanti ciascuna e ben 335 che superano il milione.

Jean-Paul Agon, numero uno de L’Oréal, lo ha ben chiaro. Certo i mercati maturi come l’Europa (7,4 miliardi di vendite nel 2012 su un fatturato totale di 22,4) restano un pilastro importante per il gruppo, ma nel Continente un numero crescente di consumatori è costretto ad abbassare il livello del suo shopping, bellezza compresa. In Cina invece l’ascensore di chi sale nella piramide sociale è sempre più affollato e tutti si vogliono gratificare con prodotti cosiddetti premium.

Secondo stime, solo con la divisione dei prodotti di lusso (tra i marchi, Lancôme, Giorgio Armani, Shu Uemura, Biotherm, Kiehl’s) L’Oréal ha venduto ai clienti cinesi nel 2012 per circa 500 milioni di euro, vale a dire il 10 per cento del giro d’affari di tutta la divisione lusso nel mondo (5,5 miliardi di euro). «Siamo stati i primi con Lancôme ad arrivare in Cina nel 1993» ricorda Nicolas Hieronimus, presidente della divisione L’Oréal Luxe, «e oggi raccogliamo i risultati». Nella classifica dei cinque punti vendita con i fatturati più rilevanti per Lancôme nel mondo si trova il corner in un grande magazzino di Hangzhou, città della seconda fascia dove L’Oréal è arrivata nel 1998.

Ma un paese come la Cina, che in soli quattro anni è cresciuto fino a piazzarsi al secondo posto, dopo gli Stati Uniti, per vendite di prodotti di bellezza di gamma alta, e pare destinato a diventare il primo, fa gola a molti. E le grandi aziende americane al momento sono ben piazzate ai primi posti. Così L’Oréal, impegnata a combattere con la sua Lancôme sulla fascia dei consumatori top del lusso contro l’americana Estée Lauder (e più in generale sul mercato totale cinese dei prodotti di bellezza con il colosso Usa P&G), ha deciso di spingere l’acceleratore, puntando proprio sulla nuova urbanizzazione.

«Negli ultimi due anni il gruppo, che è presente in 70 città, è sbarcato in 33 nuovi centri urbani, in prevalenza della terza fascia» precisa Agon. E per il prossimo futuro si punta al raddoppio. Così come si sta potenziando la linea di fuoco delle griffe della divisione lusso destinate a sedurre i cinesi: da Ysl Beauté, che inizierà a essere venduto a maggio, a Yue Sai, un marchio che basa i suoi prodotti sull’antica medicina cinese. 

Ma, proprio perché viviamo in un mondo globalizzato, la Cina non è solo una terra di conquista. «Il consumatore cinese è attento e sofisticato. Quindi utilizziamo la Cina come un laboratorio e un trampolino di lancio» spiega Hieronimus. Così è accaduto che il rilancio di Helena Rubinstein sia partito proprio dalla Cina, per poi raggiungere il resto del mondo. E qualcosa di più potrebbe accadere nei prossimi anni con Yue Sai. «Puntiamo a farne nel tempo il primo marchio globale di bellezza di lusso made in China» annuncia Agon.

I cinesi sono inoltre una parte importante di quel «sesto continente» fatto di persone in transito negli aeroporti: un mondo che, secondo stime recenti, nel 2030 sarà «abitato» da 11,4 miliardi di persone. La sorpresa? Anche qui troviamo tanti cinesi, in particolare quelli della nuova borghesia benestante. E tutti vanno matti per i prodotti di bellezza. Non a caso Barbara Lavernos, direttore generale della divisione Travel retail de L’Oréal, sta attrezzando i punti vendita degli aeroporti più frequentati dai cinesi (Hong Kong, Bangkok, Taipei ma anche Tokyo, Parigi e Dubai) di consulenti di bellezza che parlano mandarino.

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