L’euro alla Corte costituzionale, come in Germania

Perché la Corte costituzionale italiana non si occupa dell’euro come fa quella tedesca? E’ una proposta indecente? Mica tanto. Premesso che la moneta unica è un progetto politico, dunque va affrontata in questa chiave dai paesi che vi aderiscono (non solo dai governi, ma dai parlamenti e dalle altre istituzioni democratiche), anche la sentenza dei giudici di Karlsruhe sull’acquisto di titoli di stato da parte della Bce, sarà politica sia pur rivestita di argomentazioni giuridiche.

Tedeschi contro tedeschi si sfidano nella fredda e solenne aula: Jörg Asmussen, rappresentante nel consiglio della Banca centrale europea e Jens Weidmann presidente della Bundesbank nominato anch’esso dal governo di Berlino, l’uno a sostegno degli argomenti di Mario Draghi e della Bce, l’altro di quelli della ortodossia monetaria teutonica. Entrambi consapevoli che bisogna combinare interessi nazionali e interessi europei, ma con pesi diversi sulla bilancia. Se così stanno le cose, gli alti magistrati dovranno far appello non solo ai testi, ma alle loro convinzioni, alla loro cultura, alla loro visione della Germania e dell’Europa, quindi alle loro preferenze politiche. La giustizia non è neutra, tanto meno quando è in campo la costituzione, cioè l’organizzazione normativa, istituzionale e politica dello stato.

Bene, fatto questo cappello, la vicenda tedesca ha molto da insegnarci. Niente ritorsioni polemiche né ferite all’orgoglio. No, dovrebbe spingere anche l’Italia a considerare in modo serio fino a che punto il fiscal compact e i salvataggi operati dalla Bce coincidono con la nostra costituzione e i nostri interessi nazionali. Tenuto conto di due fatti fondamentali: 1) con una quota del 18%, siamo il terzo contribuente al fondo al quale abbiamo dato senza prendere nulla; 2) finora la Bce ha acquistato sul mercato secondario titoli italiani per 99 miliardi di euro e Bonos spagnoli per 43,7 miliardi, ne ha spesi 30,8 per i greci, 21,6 per i portoghesi e 13,6 per gli irlandesi.

L’Italia ha versato 43 miliardi di euro per gli interventi di salvataggio, altri 20 sono previsti nella seconda metà dell’anno e altrettanti nel 2014.  E’ giusto? Certo, bisogna accettare la reciprocità: oggi a me, domani a te. Tuttavia, l’esborso ha appesantito i nostri conti pubblici e ha tolto spazio di manovra alla politica fiscale proprio mentre ne avevamo più bisogno. Insomma, avremmo potuto non aumentare l’Iva, evitare l’Imu sulla prima casa, ridurre un po’ le tasse sul lavoro. Quanto ai Btp nel portafoglio della Bce, comperati quando i loro prezzi crollavano, adesso danno alti rendimenti, la banca ci guadagna e il contribuente tedesco pure. E’ vero che quando si tratta di moneta le cose appaiono sempre oscure, ma anche per questo bisogna discuterne alla luce del sole, in punta di diritto e in punta di scelte democratiche.

Sui trattati e alla loro costituzionalità, le opinioni sono divise tra il no radicale di un decano come il professor Giuseppe Guarino e il sì di altri esperti. La Consulta italiana finora è stata in altre faccende affaccendata, questioni spesso meno rivelanti sul piano collettivo della moneta unica, della crisi dei debiti sovrani, del salvataggio o del collasso dell’Italia. Ebbene, sarebbe ora che cambiasse menù. Certo, qualcuno deve sollevare la questione. Ma non mancheranno i candidati. Il referendum sull’euro non si può fare, invece una discussione approfondita con un calcolo non demagogico dei vantaggi e degli svantaggi, è più che mai opportuna. Sarebbe dilaniante? Per la verità, siamo già divisi. Sarebbe, invece, rinfrescante sul piano intellettuale e forse contribuirebbe anch’essa alla “pacificazione” del paese.

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