Le gambe corte del processo Stato-mafia

 Scrive: «Ogni governo avrebbe avuto il diritto di cercare le strategie per prevenire nuove stragi». Aggiunge: «La magistratura non ha alcun diritto di sindacare quel diritto». Conclude: «Manca non soltanto un’accusa precisa, ma anche un chiaro illecito penale». I colpi più duri all’impianto del processo sulla trattativa Stato-mafia, bollato come «processo più politico che penale»? Vengono, a sorpresa, da un giurista da sempre vicino a posizioni garantiste ed ex membro laico del Csm su proposta dei Ds: Giovanni Fiandaca, ordinario di diritto penale a Palermo. Fiandaca, che dal 1999 al 2001 fu nominato dal guardasigilli Oliviero Diliberto presidente della commissione per la redazione di un testo unico contro la criminalità organizzata, ha pubblicato sulla rivista Criminalia un saggio nel quale demolisce pezzo per pezzo l’inchiesta lanciata dal pm Antonio Ingroia, che ora è procedimento aperto a Palermo. Fiandaca sottolinea «il carattere di intrinseca liceità (se non di doverosità) dei tentativi di arginare il rischio stragista», e censura il processo che, scrive, ha illegittimamente «trasformato i negoziatori istituzionali in una cricca privata in combutta con la mafia per il perseguimento di interessi egoistici e ignobili». (M.T.)

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