Il quartier generale del Fondo monetario a Washington (GettyImages).
Lavoro

L'allarme del Fondo monetario sugli effetti della seconda ondata

L'Fmi sostiene che la pandemia sta determinando un mutamento dell'economia strutturale, più che congiunturale. Ecco perché per fronteggiare la crisi saranno necessari la riduzione del carico fiscale e l'aumento dei salari.


Il Fondo Monetario Internazionale ha ieri pubblicato il suo rapporto annuale di autunno sulle prospettive dell'economia mondiale. Com'è di abitudine, un lavoro dettagliato e pieno di numeri che consente di valutare con attenzione l'impatto della pandemia e gli scenari possibili nei prossimi mesi. Il quadro che ne emerge è duplice: da un lato maggiore ottimismo nelle previsioni con una crisi che, per quanto senza precedenti, comunque sembra che sia possibile superare con un rinnovato sentiero di sviluppo.

Dall'altro, grande incertezza sui prossimi mesi e su quello che potrebbe succedere alle economie mondiali se la seconda ondata della pandemia (perché ormai di questo si tratta) dovesse nuovamente trasformarsi in un esteso blocco delle attività produttive. Altrettanto evidente nelle analisi del Fondo è il fatto che in ogni caso la pandemia sta determinando un mutamento più strutturale che congiunturale delle economie e delle società e che il rischio (anzi la conseguenza) più immediato è una caduta dei consumi delle famiglie e, quindi, un loro impoverimento vista la disoccupazione che aumenta, insieme alla sottoccupazione.

La diminuzione del reddito disponibile delle persone è un tema che la politica economica deve affrontare con grande rapidità e urgenza se non vuole finire in un abisso di lunga depressione/stagnazione. Occorre certamente riavviare la macchina della crescita mediante investimenti di lungo periodo e sostegno alle imprese nei loro processi di transizione; e ciò sarà reso possibile dalle risorse finanziarie significative che banche centrali e Unione Europea metteranno a disposizione nei prossimi mesi. Non credo che si debba essere preoccupati del livello di debito pubblico che questi interventi potranno generare.

La profondità della crisi - che molti paragonano alla Seconda Guerra Mondiale- e il suo prolungarsi nel tempo metteranno tra qualche anno tutti i Paesi di fronte alla necessità di una grande operazione straordinaria sul debito mondiale così come fu dopo diversi anni dalla fine di quel conflitto. Appare, dunque, molto più utile concentrarsi sulle azioni di carattere microeconomico che devono essere costruite al fine di sostenere il reddito delle famiglie e, di conseguenza, la domanda interna.

Due le possibili strade: la riduzione sostanziale del carico fiscale e l'aumento dei salari. Ridurre il peso del fisco sulle famiglie e le imprese rappresenta una priorità non più rinviabile, quanto meno in Italia. Ristrutturare e riorganizzare il sistema fiscale è una riforma strutturale per il Paese che deve concorrere a garantire equità sociale, remunerare i fattori produttivi, offrire maggiore reddito per i produttori, semplificare il sistema. Obiettivi che certo si intersecano tra di loro e il cui equilibrio deve essere raggiunto senza creare disfunzioni significative ma con il chiaro obiettivo principale che è quello di una minore imposizione fiscale.

L'ipotesi di una equilibrata flat taxrimane la suggestione più rivoluzionaria e quella capace di dare un boost potente all'economia. Vedremo quali saranno le scelte del Governo. Riguardo all'aumento dei salari, il tema è altrettanto chiaro. Stiamo vivendo da diversi anni uno stallo nella dinamica salariale e una disconnessione rispetto alla produttività. Entrambi questi due elementi vanno recuperati. Il dibattito di questi giorni ha messo nuovamente al centro la riflessione sul tema.

Anche in questo caso, però, occorre trovare soluzioni equilibrate ed efficienti per il sistema. Al centro deve rimanere la contrattazione, con i livelli decentrati (settoriali ed aziendali) che devono contare sempre di più. Rivedere le regole del Patto per la fabbrica continua ad essere opportuno. La legge deve essere tenuta molto lontana dalle questioni salariali, se non vogliamo un collasso del sistema delle relazioni industriali. Il legame alla produttività deve essere il faro di guida di un nuovo assetto, equilibrando salario e welfare contrattuale, sempre più importante in questa fase. Opportuno è un significativo aiuto da parte del sistema fiscale.

Detassare gli aumenti contrattuali potrebbe essere uno strumento valido, almeno nel breve periodo, per risolvere delicate questioni negoziali e per dare immediato ossigeno ai consumi e alla domanda interna. Vi sono alcuni argomenti che rendono prudenti (o scettici) su questo intervento. Anzitutto il possibile costo e in secondo luogo una eventuale distonia con la riforma del sistema fiscale. Sono obiezioni superabili. Il costo non è chiaro quale possa essere al momento, ma in questa situazione di emergenza possa essere affrontata con un mix di risorse di bilancio adeguate; la distonia con la riforma fiscale è un non problema visto che non esiste ancora una riforma fiscale.

La ricerca di strade nuove della politica economica a fronte di una crisi così vasta e profonda deve fare premio. L'obiettivo è rialzare subito il livello dei salari senza danneggiare le imprese, anche se dovesse essere un intervento temporaneo, successivamente da fare confluire in riforme strutturali più ampie. La crisi necessita tempestività, rapidità ed efficacia. Prima di sprofondare in un abisso economico e sociale difficile da recuperare.

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