Il Jobs Act e le idee di Biagi e D'Antona

Superare l'articolo 18. E' l'espressione attorno a cui ruota da giorni il dibattito sul Jobs Act, la nuova riforma del lavoro del governo Renzi, i cui contenuti sono in realtà ancora tutti da scrivere nel dettaglio. Non va dimenticato, infatti, che il Jobs Act è un legge-delega, la quale fissa per adesso soltanto alcune linee di azione dell'esecutivo, che verranno messe a punto nei prossimi mesi con una serie di decreti delegati. Nonostante questo particolare tutt'altro che trascurabile, oggi si discute già sull'essenza della riforma, richiamando alla memoria il pensiero di Marco Biagi, il noto giuslavorista ucciso nel 2002 dalle Brigate Rosse.


Articolo 18 e Jobs Act, i problemi ancora aperti


Tredici anni fa (assieme ad altri studiosi), Biagi scrisse infatti un Libro Bianco che conteneva una serie di proposte per attuare una profonda riforma del mercato del lavoro italiano, che lui giudicava il peggiore in Europa. Le proposte di Biagi, che riguardavano anche la revisione dell'articolo 18 e della disciplina dei licenziamenti, avevano un carattere dirompente e furono purtroppo determinanti nel portare al suo assassinio.


L'eredità di Biagi

Dunque, visto che oggi è tornato di attualità il dibattito sull'articolo 18, sorge spontaneo un interrogativo: quante, tra le idee di Marco Biagi, sono presenti anche nel Jobs Act renziano? Dare una risposta a dodici anni di distanza è molto difficile, non fosse altro per la mutata situazione economica dell'Italia. Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica, altro giuslavorista finito in passato nel mirino delle Br, ritiene però che la riforma appena messa in cantiere dal governo sia comunque figlia anche del pensiero di Biagi.

In un'intervista a Radio 24, Ichino ha sottolineato infatti come il principio fondante del Jobs Act sia quello che ha ispirato pure le proposte del professore bolognese: la volontà di “voltar pagina rispetto al regime della cosiddetta job property, basato sull'ingessatura del singolo posto di lavoro”. L'obiettivo è invece quello di creare un nuovo welfare costruito sulla capacità del lavoratore di muoversi meglio all'interno del mondo produttivo, cioè di passare da una vecchia a una nuova occupazione contando su un sistema di ammortizzatori sociali efficaci, che lo liberino per un po' dal bisogno economico e forniscano, contemporaneamente, un'assistenza che finora è mancata in Italia.


Il pensiero di D'Antona


A ben guardare, tuttavia, per Ichino il Jobs Act può essere considerato anche figlio del pensiero di un altro gisulavorista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1999: Massimo D'Antona, consulente dell'ex-ministro del Lavoro Antonio Bassolino, ai tempi del governo D'Alema. In una lettera scritta al Corriere della Sera nel 2009, Ichino citò infatti i passi di un discorso di D'Antona, pronunciato poco prima di morire, che non si discostava molto dalle idee di Biagi (benché qualcuno abbia messo in contrapposizione il pensiero dei due studiosi). Pure per D'Antona, sottolineò Ichino nel 2009, le garanzie della inamovibilità del posto di lavoro rimandano a un “modello di impresa rigida, uniforme, durevole; un modello che tende al declino”.


Renzi, quante chiacchiere sull'articolo 18


Biagi e D'Antona possono essere dunque considerati ispiratori postumi del Jobs Act, almeno secondo la lettura della riforma data dal senatore di Scelta Civica. Tra gli amici ed estimatori di Biagi, però, c'è chi ha messo in evidenza alcune ambiguità che ancora permangono nelle enunciazioni della legge-delega sul lavoro, ideata dal governo Renzi . Secondo Giuliano Cazzola, esponente del Nuovo Centrodestra, il testo della riforma sembra per adesso accontentare un po' tutti, non soltanto il senatore dell'Ncd Maurizio Sacconi e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ma pure il deputato del Pd, Cesare Damiano, che si oppone invece alla revisione dell'articolo 18.


Le zone d'ombra della riforma

Sul sito Formiche.net, Cazzola sottolinea infatti un aspetto importante: nel testo del Jobs Act c'è un riferimento generico alla creazione di un nuovo contratto a tutele crescenti, privo inizialmente delle protezioni dell'articolo 18. A ben guardare, però, non sta scritto da nessuna parte che, per questo contratto, viene abolito definitivamente l'obbligo di reintegro del lavoratore nell'azienda, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo. Si tratta di una zona d'ombra alla quale, secondo Cazzola, se ne aggiunge un'altra. Nella legge-delega, si fa riferimento anche a una possibile potatura dei contratti di assunzione flessibili, che è sempre stata un cavallo di battaglia della sinistra ma non certamente del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano e Maurizio Sacconi. Dunque, è probabile che sul Jobs Act scoppi una nuova battaglia nei prossimi mesi, quando il governo dovrà approvare i decreti attuativi della riforma.

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