La parabola del più brillante imprenditore cinese racconta come il controllo del regime sia assoluto. E come anche solide fortune economiche possano essere messe in discussione da una critica alla «linea» ufficiale.
«Colpirne uno per educarne cento». Lo slogan lanciato negli anni Sessanta dal compagno Mao Ze Dong, che sarebbe stato celebrato per decenni dai rivoluzionari immaginari di mezza Europa e che le Brigate rosse avrebbero trasformato in prassi terroristica, è improvvisamente tornato di moda nella Cina neoimperialista dei giorni nostri.
Oggi, però, l’uomo da colpire non è il borghesuccio che titubava ad adeguarsi alle regole della Rivoluzione culturale, e che il presidente Mao additava alle Guardie rosse come «nemico del popolo». Il regime ha messo nel mirino uno dei suoi figli più affermati, un membro del Partito comunista cinese che la rivista americana Forbes aveva appena inserito al numero 26 della classifica mondiale dei miliardari con un patrimonio personale di 46,3 miliardi di dollari. L’uomo da colpire – e in effetti colpito e affondato – è Jack Ma, 56 anni, fondatore e azionista del colosso dell’e-commerce Alibaba.
La parabola di Ma è insieme straordinaria e significativa di quel che è possibile nella Cina di Xi Jinping. Imprenditore da sempre celebrato e appoggiato dal potere, da alcuni mesi il povero Ma è finito nella polvere. L’ultima botta sulla testa gli è arrivata con l’obbligo di cedere il quotidiano South China Morning Post, una delle ultime testate «semilibere» di Hong Kong. All’esproprio è seguito l’obbligo di cedere anche Bilibili, un’app di condivisione di video che è molto popolare tra i giovani cinesi, e Weibo, una piattaforma di blogging simile a Twitter.
Le colpe del tycoon sono state due: essere cresciuto tanto da trasformarsi in contropotere per il regime, e avere mostrato segnali d’indipendenza. Nato ad Hangzhou nel 1964, per anni Ma aveva fatto l’insegnante d’inglese. Durante un viaggio in Australia, permessogli come premio per la fedeltà al partito, aveva avuto l’idea di creare una società di e-commerce, che al suo ritorno aveva fondato e chiamato Alibaba. Da allora, Alibaba è divenuta uno dei colossi mondiali, un gruppo da 110 mila dipendenti che controlla una decina di siti: da Alibaba.com ad AliExpress, che nel 2020 hanno venduto merci made in China per 34 miliardi di dollari, fino all’applicazione Ali-Pay, piattaforma dei pagamenti online usata ogni giorno da 1,3 miliardi di persone. A Wall street, dov’è quotata dal 2014, Alibaba oggi capitalizza 628 miliardi. Se Jack Ma ha potuto creare tutto questo è stato anche perché, come tutti i grandi imprenditori cinesi, è sempre stato funzionale al regime. Alibaba e Ali-Pay partecipano alla gestione di «Occhio di falco», il penetrante sistema di controllo di massa creato negli ultimi 10 anni. Ogni acquisto o pagamento sono automaticamente segnalati ai potentissimi server del governo cinese, che insieme a un’infinità di altri dati li usa per assegnare un punteggio ai suoi sudditi. In base ai punti ricevuti, un miliardo e mezzo di cinesi ottiene vantaggi o punizioni.
Jack Ma, però, ha osato troppo. Il conflitto è iniziato il 24 ottobre 2020, quando l’imprenditore ha criticato la campagna «contro i rischi della finanza», lanciata mesi prima dal presidente Xi Jinping. È bastato che Ma dichiarasse che quella campagna si basava su «una mentalità arretrata» e rischiava di «porre limiti all’innovazione tecnologica». Il giorno stesso, è sparito dalla circolazione. Poi, da novembre, è iniziata l’epurazione. Un altro ha preso il suo posto al vertice di Alibaba. E il governo ha bloccato la quotazione di Ant Group, la holding di Jack Ma che alle Borse di Hong Kong e di Shanghai si prevedeva avrebbe raccolto 37 miliardi di dollari.
È vero che a metà di gennaio l’imprenditore è riapparso in pubblico, ma da allora il governo cinese ha continuato a colpirlo. Prima ha annunciato un piano per tassare i colossi dell’e-commerce, poi Jinping ha ordinato di «intensificare la supervisione sulle società di Internet e reprimere l’espansione disordinata del capitale». Quindi Alibaba è stato multata di 2,8 miliardi di dollari per abuso di posizione dominante. Infine, la Banca centrale cinese ha stabilito che Ant Group dovrà essere sottoposta alla sua «vigilanza diretta».
Un commissariamento, insomma, che ha riaffermato la supremazia del partito sull’economia e sulla società civile. E il 27 maggio la Banca centrale ha imposto gli stessi obblighi a Tencent, il colosso hi-tech che controlla WeChat, un’altra piattaforma di messaggi e pagamenti online. Come Alibaba, anche Tencent sarà sottoposta alla vigilanza diretta del governo. Sembra quasi l’inizio di una nuova Rivoluzione culturale. Colpirne due per educare tutti. Come diceva il presidente Mao?