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L’intelligenza artificiale immunizza i computer

L’intelligenza artificiale immunizza i computer

Matematici dell’università di Cambridge ed ex membri dei servizi segreti britannici hanno messo a punto un sistema di sicurezza informatica rivoluzionario. Perché funziona come quello che protegge il corpo dai virus


da Cambridge (Regno Unito)

Per una volta ostile a qualsiasi rischio o azzardo, la capitale mondiale della distrazione, Las Vegas, si fa proteggere da uno dei luoghi più attenti del pianeta: Cambridge, in Inghilterra. Cittadina universitaria dall’esagerato tasso di sapere, che dal quartier generale di uno dei suoi fiori all’occhiello tecnologici, la società di cybersecurity Darktrace, sorveglia anche uno dei principali scali nostrani, l’aeroporto internazionale di Bergamo, più tre migliaia di aziende e istituzioni sparse in tutto il pianeta.

In questo paesone di accademie storiche a un’ora di treno da Londra, un gruppo di cervelli ha creato un cervellone: un’intelligenza artificiale messa al servizio della sicurezza informatica. Un vigilante instancabile, implacabile, sempre operativo, deciso a trasformare gli antivirus in reperti fossili. A farlo tramite un approccio logico rivoluzionario di cui pure Barack Obama aveva riconosciuto l’efficacia: «Quando vogliamo proteggerci, pensiamo a muri e armature. Invece, dovremmo guardare alla medicina, ragionare in termini di anticorpi» diceva nel 2016 l’allora presidente degli Stati Uniti.

Qualche anno prima, era il 2013, un’idea simile ronzava in testa ad alcuni matematici di Cambridge. I fondatori di Darktrace, ex start-up oggi con 1.100 impiegati, valutata circa 2 miliardi di dollari. Dopo lunghi studi, hanno lanciato sul mercato un sistema immunitario virtuale, dedicato a qualsiasi impresa pubblica o privata con il naso sul web.

Si comincia con una poderosa sterilizzata, una disinfestazione rigorosa per levarsi di torno eventuali trappole dormienti, a quel punto entra in gioco l’intelligenza artificiale: «Il suo primo compito è imparare quello che è normale. Studiare, in assenza di turbative, il comportamento del software e dell’hardware di un’organizzazione, sia essa un’industria, un ospedale, un’intera città» dice a Panorama Max Heinemeyer, ex hacker etico (quelli malintenzionati si chiamano cracker), il cui ruolo attuale è tutto un programma: direttore della caccia alle minacce. Un compito di coordinamento, giacché il grosso lo fanno gli algoritmi attraverso il machine learning. Cioè la macchina apprende quando il sistema è sano per curarlo non appena si affaccia un principio di malattia: «Un campanello d’allarme può arrivare dalla più piccola stranezza. Come il tentativo di collegamento a un social network russo, se il cliente si trova in Italia. O trasferimenti sospetti, senza precedenti, di grossi file» elenca Heinemeyer.

L’Ai non capta le infezioni, le previene. Scruta l’irregolare e, all’occorrenza, indossa il camice: sguinzaglia gli anticorpi. Intanto, non blocca niente: i computer continuano a funzionare, così pure i semafori, i sensori, i robot, tutti i dispositivi connessi alla rete. A differenza dei software tradizionali che sbarrano e congelano, che per eccesso di zelo confinano ogni cosa in quarantena, qui l’operatività ordinaria non viene compromessa. «Esattamente come un corpo che ai primi sintomi di una patologia non si spegne, al massimo accusa qualche acciacco o colpi di tosse».

Comprese le fondamenta dell’approccio di Darktrace, veniamo scortati a visitarne la sede. Scortati è il termine appropriato, perché qui si raggiungono livelli di paranoia superlativi: al piano di sotto, in una specie di forziere, ci sono i server su cui gira l’infrastruttura virtuale, montati internamente un pezzo alla volta, per evitare di rivolgersi a ditte esterne; una stanza buia con un megaschermo al posto di una parete, la «wow room» (perché sì, ispira meraviglia), riepiloga i lavori di scrutinio in corso; tutt’intorno, cartelli terrorizzanti invitano ad accertarsi di non essere seguiti mentre si entra in un’area ad accesso ristretto, altri invitano a collegare i propri gingilli hi-tech a porte e prese «solo se è essenziale». Messaggio ricevuto, il cellulare lo ricaricheremo dopo.

L’intelligenza artificiale immunizza i computer
Darktrace
Da sinistra, Max Heinemeyer, direttore della caccia alle minacce e Mike Beck, responsabile globale dell’analisi delle minacce.Darktrace

Difficile stupirsi di tanta prudenza, vista la posta in gioco e, anche, il curriculum di alcuni responsabili della società. Accanto a chimici, astrofisici, biologi, linguisti («ci piace assumere chi sa pensare in maniera differente» sottolinea Heinemeyer), in cabina di comando ci sono reduci dei servizi segreti. Come Mike Beck, il responsabile globale dell’analisi delle minacce, con una vita precedente nell’intelligence e nel controspionaggio. Sull’argomento è evasivo quanto solo un ex membro dei servizi di sicurezza britannici potrebbe essere: «In Afghanistan ho dato supporto a smantellare i canali di comunicazione dei leader. Ai tempi delle Olimpiadi di Londra, ho difeso le infrastrutture nazionali dagli attacchi» è tutto ciò che si riesce a estorcergli.

Beck è entusiasta di quello che la sua squadra è riuscito a realizzare in Darktrace: ingannarlo. Confondere il suo fiuto da 007: «L’intelligenza artificiale» spiega «si è trasformata in un “Cyber Ai Analyst”, un analista cibernetico che, imitando i processi del pensiero umano, suggerisce le strategie migliori da adottare per risolvere i problemi di sicurezza informatica». Cioè prescrive ai clienti i farmaci da utilizzare per integrare il lavoro degli anticorpi. Queste ricette mediche, chiamiamole così, sono rapporti scritti contenenti indicazioni pratiche, che per linguaggio, precisione e chiarezza, sembrano essere stati compilati da una persona vera. A un certo punto, leggendoli, sia Beck che Heinemeyer sbagliavano a distinguere quelli realizzati da un analista tradizionale rispetto a quelli elaborati da un cervellone di bit. Il quale, peraltro, è fino al 92 per cento più veloce del suo omologo in carne, ossa e neuroni.

Il risultato complessivo è un cambio di passo: si accelera in modo drammatico la capacità di reagire agli attacchi e di prevenirli. Tuttavia, si ricade nello schema della macchina che ruba il lavoro all’uomo: «Ma no» risponde Beck «piuttosto si lascia spazio agli analisti per concentrarsi su temi di alto profilo». Uno su tutti, affinare l’intuito del sistema e dargli la capacità di anticipare il futuro e le sue vaste incertezze. «Si affacciano sempre nuove minacce» ricorda Heinemeyer: «Le nostre difese devono essere attrezzate a operare a tutto campo. Non sapremo da cosa saremo colpiti».

A Cambridge, che ha il fascino unico di essere un luogo in cui il pensiero accade, l’intelligenza artificiale sta provando a fare l’ennesimo salto di qualità. A imparare quello che non le si può insegnare: riconoscere l’ignoto per sventarne i pericoli.

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