ANSA / MATTEO BAZZI
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Italicum: Pd alla resa dei conti

80-100. Tanti i deputati dem che all'assemblea Pd di questa sera sono pronti a votare no all'Italicum se Matteo Renzi manterrà ferma la sua decisione di non cambiare nulla della nuova legge elettorale. Un segnale forte, drammatico in un certo senso, che però difficilmente potrà preludere a una spaccatura vera e propria in aula dove il testo arriverà a fine aprile. Il fronte del dissenso è infatti diviso ed è proprio su queste divisioni che il segretario-premier intende giocare per sfruttarle a suo vantaggio. Senza contare che in caso di en plein alle regionali del 31 maggio, per la minoranza sarà complicato sostenere la posizioni di oggi. Non solo, in molti già pensano al futuro. Al proprio futuro soprattutto e al rischio di essere esclusi dalle prossime liste elettorali.

Renzi: “Ora si decide”

Nessun cambiamento. Il premier e i suoi fedelissimi lo hanno detto e ridetto già mille volte e ieri Renzi è ricorso alla metafora del Monopoli: “non si può ricominciare e tornare a vicolo Corto. Ora si decide”. Sa benissimo che in caso di modifiche l'Italicum dovrebbe ripassare dal Senato (vicolo Corto) per una nuova lettura e nonostante l'appello della sua minoranza a fidarsi, Renzi non vuole rischiare. È convinto di avere i numeri. I precedenti gli danno ragione. Alla fine l'area del dissenso vero e proprio potrebbe contarsi in una ventina di voti contrari. Facilmente rimpiazzabili da altre forse come i verdiniani di Forza Italia. L'unico problema è rappresentato dalla possibile richiesta di voto segreto da parte delle opposizioni. In quel caso l'imboscata sarebbe possibile. Ma non certa visto che, soprattutto in caso di vittoria dem alle regionali, nessun altro si arrischierebbe ad andare al voto troppo in fretta. Strada che Renzi quasi certamente deciderebbe di percorrere in caso di affossamento dell'Italicum.

La vigilia dell'assemblea di stasera

Ieri Roberto Speranza, il capogruppo alla Camera pronto a rassegnare le sue dimissioni nonostante il vice segretario Lorenzo Guerini gli abbia recapitato il messaggio che non sono necessarie e nessuno intende chiedergliele (visti anche gli sforzi per tentare di ricucire gli strappi provocati dal suo capo corrente, Pier Luigi Bersani), ha riunito i suoi di Area Riformista. Esito dell'incontro votare oggi “no, se il premier non apre” e poi fare ciascuno ciò che vuole seguendo il principio che sulle riforme costituzionali non può valere il vincolo di mandato.

Minoranza divisa

Tra chi contesta l'Italicum ci sono però varie sfumature di dissenso. Ognuno, insomma, sta facendo la propria battaglia. Anche se sarà difficile, come sostengono i renziani, spiegare poi ai propri elettori perché si è deciso di far eventualmente cadere il governo sulla legge elettorale e non sul Jobs Act, per esempio, che con la cancellazione dell'articolo 18 è andato a colpire uno dei simboli più forti della sinistra. C'è infatti chi, usando l'Italicum come una clava, sta portando avanti una guerra esclusivamente contro Matteo Renzi. È il caso dei vari Alfredo D'Attorre, Rosy Bindi, ma anche dello stesso Bersani. Sapendo di essere arrivato all'ultimo giro in Parlamento, l'ex segretario ha deciso di giocarsi il tutto per tutto non avendo più niente da perdere. C'è poi chi, come Nico Stumpo, Epifani, Zoggia, Damiano, non accetta che sia messa la fiducia per una questione di principio e chi invece, come Speranza e la stragrande maggioranza dei deputati che fanno riferimento a lui, si accontenterebbe di qualche modica nella riforma del Senato. Sono quelli, questi ultimi, più preoccupati del loro destino in caso di voto contrario. “Dove mai potremmo andare?” è infatti la domanda che gira in queste ore tra il Nazareno e Montecitorio.

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