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Immigrati: gli sbarchi e le responsabilità

Adesso il vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, sprezzante dell’implicito amaro sarcasmo, sostiene che "siamo tutti nella stessa barca". Vero. Ma anche no. I 28 paesi dell’Unione non si trovano sullo stesso barcone dei migranti (fra 232 e 400 i morti nell’ultima tragedia del mare).

Gli ultimi sbarchi a Lampedusa

Ansa
L'arrivo degli immigrati salvati dalla Guardia costiera il 9 febbraio 2015

Gli ultimi sbarchi a Lampedusa

epa04613138 A handout picture provided 10 February 2015 by the Italian Coastguard shows migrants arriving to Lampedusa, 09 February 2015, after being rescued by Italian Coastguard from the Mediterranean Sea between Libya and Italy. At least 25 people believed to be migrants trying to reach Europe were reported dead 09 February after rough weather struck their vessel off the coast of the Italian island of Lampedusa, media reported. EPA/ITALIAN COAST GUARD PRESS OFFICE / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Gli ultimi sbarchi a Lampedusa

ANSA/Pasquale Claudio Montana Lampo
Una fila di carri funebri in attesa di caricare le salme dei migranti morti in mare sulla banchina del porto di Lampedusa, 11 febbraio 2015.

Gli ultimi sbarchi a Lampedusa

ANSA

L’Europa che si nasconde dietro le pompose parole del suo commissario quando invita a "più cooperazione, più solidarietà", non ha volto, perciò non sembra avere colpa. Ma cosa dice la Francia, cosa dice il presidente Hollande, del fallimento della missione europea "Triton"? Arretrata a 30 miglia dalle coste, con fondi inferiori di oltre due terzi a quelli che la sola Italia impiegava ogni mese per Mare Nostrum (oltre 9 milioni di euro), l’Europa è in condizione soltanto di pattugliare le coste, non di soccorrere i naufraghi.

Cito la Francia perché ha ragione il premier Matteo Renzi a dire che il traffico di esseri umani nel Mediterraneo non si contrasta a barconi già in acqua, ma in Libia da dove salpano. Cito la Francia perché è stata la guerra a Gheddafi voluta da Parigi a provocare caos e terrore in Nord Africa, a far attecchire la follia jihadista, far fuggire i disperati, armare i trafficanti. Mi urta pure la retorica delle interviste pelose di esponenti degli organismi internazionali come l’Alto commissariato per i rifugiati. Sempre pronti a dare lezioni, ma non in grado di fare il loro lavoro: scongiurare l’esodo omicida e suicida con la presenza e il supporto direttamente sul terreno.

A gennaio è partita la missione "Triton", quella precedente tutta italiana (Mare Nostrum) aveva eroicamente salvato decine di migliaia di migranti, ma non aveva potuto impedirne la morte in mare di oltre 3mila 300 come ha ricordato il Viminale. Inoltre, rischiava di costituire (e ha finito col diventare) un incentivo di fatto alle partenze. I trafficanti sceglievano ormai barconi destinati ad affondare, addirittura privi di equipaggio. Tanto, c’erano le unità della nostra Marina ad accogliere i naufraghi...

L’Europa ha girato gli occhi, si è limitata a sottoscrivere gli appelli retorici e gli inascoltati inviti alla collaborazione ai 28 paesi dell’Unione, ma nel concreto ha messo in campo la politica del "braccino": niente fondi, niente mezzi. Come dire: il problema è dell’Italia. E resta dell’Italia. La Commissione e gli organismi internazionali ci risparmino le pubbliche dichiarazioni, le interviste e i fervorini retorici. La loro spilorcia e incapace retorica si applica a sangue vero. La soluzione del problema non è a Roma o a Bruxelles. È in Libia.    

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