'Il gioco della bottiglia' di Alessandra Di Pietro

Alzi la mano chi non si è preso la prima sbronza alla festa di compleanno di quel compagno che aveva casa libera. O magari nelle prime volte in discoteca al sabato pomeriggio o in quella vacanza al mare con l’amica del cuore…

Ci siamo passati tutti, innegabile e incontestabile.
E ora che siamo genitori iniziamo a metterci dall’altra parte: quella in cui ci domandiamo “quando toccherà a noi cosa faremo?
Quella fatidica volta insomma in cui nostro figlio/figlia entrerà in contatto senza il nostro controllo con “la sostanza psicoattiva legalizzata ma dannosa più utilizzata in ambito sociale, una sostanza cancerogena, tossica e che può indurre dipendenza”, come ci comporteremo?

Alessandra Di Pietro spiga questo e molto altro nel suo ultimo saggio dal titolo profetico: Il gioco della bottiglia (add editore) in cui il premio del gioco non è più il bacio dei nostri tempi, ma il binge drinking (ossia il tracannarsi uno dietro l’altro velocemente shottini di alcol).

Passando da un capitolo all’altro del libro la Di Pietro incontra specialisti, medici, studiosi che con le statistiche e le storie dei ragazzi ci convivono. E quello che si legge non solo è drammatico per il non sapere come affrontare il demone del bicchiere con gli adolescenti, ma perché se mai lo avevate fatto prima vi troverete faccia a faccia con una sostanza tossica, cancerogena, anti-nutriente e che impedisce il corretto sviluppo cerebrale se assunta entro i 25 anni.

Numeri impressionanti, statistiche disarmanti, risultati imprevedibili. Molte di questi studi, lo ammetto, mi hanno agghiacciata. Perché ne ero all’oscuro, perché ignoravo la potenza distruttrice di una sostanza così pericolosa alla portata di tutti. E dai media stessi così pubblicizzata. Perché non avviene come con il fumo? Perché nessuno osa scrivere sulle sgargianti bottiglie “nuoce gravemente alla salute?"

Il libro.
Come è potuto accadere che alle feste di scuola media ci siano birre al posto dell’aranciata? O che porti tua figlia in discoteca e la vai a riprendere al Pronto soccorso per coma etilico? I dati Istat sono spiazzanti. Tra gli under 18 beve il 21,5% dei maschi e il 17,3 delle femmine, un ventenne su tre per socializzare eccede con la bottiglia. Questi dati li leggi sui giornali o li vedi
nei servizi in Tv ma le percentuali sono solo numeri. 
Poi succede che recuperi tuo figlio ubriaco alla festa dei 16 anni
 del suo miglior amico, o la tua bambina ti barcolla 
sui tacchi al ritorno dalla discoteca e il cuore schizza alle stelle:
 non è più un numero, ora sei tu quello coinvolto.

Poiché il tema mi è caro (sono madre di una quasi adolescente) non mi sono voluta perdere l’occasione di fare almeno una domanda su tutte all’autrice.

D: Mi piacerebbe sapere la formula magica, dopo tutte le parole che ho detto nel tuo interessantissimo libro, dopo aver incontrato luminari ed illuminati, anche persone semplici che si dedicano con anima e corpo a non lasciar "evaporare" in nulla la vita dei ragazzi, quale senti che sia la cosa migliore da fare e la cosa giusta da dire ai nostri ragazzi in tema di alcol?

R: Non esiste una formula magica, l'unica cosa giusta da fare con i nostri ragazzi, sull'alcol ma non solo, è esserci. Presenti con il cuore e con l'attesa, affettuosi e autorevoli, disponibili all'ascolto senza subissarli di inefficaci prediche. I nostri figli chiedono di avere genitori che non siano amici, ma adulti in grado di assumersi il ruolo di guida e di testimonianza. Questo vuol dire porre limiti e confini sapendo che saranno trasgrediti e andranno ridiscussi, ma loro sanno che ci sono: è un loro bisogno, è il nostro dovere. Come mi ha detto un'adolescente che ho intervistato: «Sapere che quando torni a casa c'è tua madre che ti aspetta, ti aiuta a tenerti, eccome».

Il gioco della bottiglia. Alcol e adolescenti, quello che non sappiamo
di Alessandra Di Pietro
(192 pagine)
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