I morti: piccoli accorgimenti per farsi amare per sempre


«È meglio amare o essere amati? Nessuno dei due se il vostro colesterolo è più di seicento».

Ovviamente è Woody Allen, in uno dei saggi, dal titolo Sull’amore, contenuti in Senza piume.

Anche se si muore, al limite, smette di avere importanza se si ha più amato o si è stati più amati. Non per chi resta, però. So di persone che dopo aver lasciato qualcuno al suo destino non hanno avuto l’eleganza, l’istinto drammatico e l’accortezza narrativa di morire, permettendo all’abbandonato di pensare ad altro.

Ho le prove di ciò che dico. Immaginate il disagio di un marito quando sua moglie gli confida che la posa incantevole in cui l’ha vista poco prima sulle scale, alla festa, e che gli ha scatenato memoria e desiderio, in realtà è dipesa dallo struggimento per una musica che le ha ricordato un amore di gioventù, morto di tubercolosi per aver aspettato invano sotto la pioggia che lei gli aprisse la porta.

È un disagio contiguo al panico, ingigantito dalla gelosia, complicato dal senso di colpa e reso tagliente dal sarcasmo, che James Joyce descrive nel racconto I morti.

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