Hugo Chavez è morto

Questa volta la notizia non sarà smentita. Il presidente venezuelano Hugo Rafael Chávez Frías (58 anni) è morto. Dopo quattro interventi chirurgici in un anno e una battaglia persa contro il cancro, il caudillo pop di Caracas non ce l'ha fatta. A nulla sono servite le preghiere di massa in tutto il Venezuela per la sua guarigione.

"Sono ancora aggrappato a Cristo e alla fiducia nei miei medici e nei miei infermieri. Sempre avanti fino alla vittoria! Vivremo e vinceremo!", questo il suo ultimo twit risalente al 18 febbraio scorso. Il riferimento alla fede fa capire che il caudillo ormai si aggrappa solo a un miracolo, che però non è accaduto.

I suoi più stretti collaboratori sostengono che la malattia gli sia stata inoculata come a Yasser Arafat. "L'hanno ucciso gli americani", dicono i chavisti a Caracas. Ma è solo un modo per cercare di trovare una spiegazione alla perdita di un leader controverso e focoso, molto amato da larghe fasce di popolazione.

Appassionato di socialismo, bolivariano della prima ora, ferocemente anti-americano e amante di Twitter , Hugo Chavez è stato presidente del Venezuela dal 1999. A ottobre del 2012 sconfigge l'oppositore Henrique Capriles aggiudicandosi altri sei anni di mandato, ma la malattia lo batte, interrompendo bruscamente il suo sogno (o delirio) di immortalità politica.

Nato a Sabaneta nel 1954 da una famiglia di operai, Chavez frequenta l'Accademia militare e, inizialmente, si comporta come un capitalista perfetto. Gioca a baseball e ama il bingo. Si presta anche a fare da giudice in alcuni concorsi di bellezza. Le donne gli sono sempre piaciute, e tanto.

Poi, la svolta marxista-leninista. Nella squadra dei militari preposti a combattere i rivoluzionari comunisti, Chavez trova in una macchina sequestrata a un oppositore del governo una ricca letteratura dedicata a Marx. Legge i tomi e ne resta affascinato. E' qui che da essere un giocatore di baseball si trasforma in paladino del socialismo e comincia a indossare la sua celebre camicia rossa.

Nel 1992 è alla testa di un colpo di Stato contro il presidente Carlos Perez. Fallisce, ma in quell'occasione Chavez usa per la prima volta il suo celebre motto por ahora, ossia: sono stato sconfitto, ma solo per adesso. E il destino gli dà ragione. Diventa presidente e da Palacio Miraflores non esce praticamente più. Dal 1999 al 2012 costruisce passo dopo passo la Repubblica venezuelana a immagine e somiglianza di se stesso.

Accusato di un pesante giro di vite contro i media che lo criticano, il caudillo si dedica a programmi televisivi e radiofonici in cui dimostra una capacità retorica pari a quella del suo amico Fidel Castro. In Aló Presidente (Salve Presidente), ogni domenica mattina sulla radio pubblica, e poi il giovedì con uno show dal titolo De Frente con el Presidente (Faccia a faccia con il presidente), Chavez costruisce passo dopo passo il suo sogno di un socialismo bolivariano a uso e consumo del 21esimo secolo.

Insomma, da amante del bingo, il presidente venezuelano si ritrova alla testa di una banda di paesi sudamericani che ce l'hanno a morte con gli Stati Uniti, visti come imperialisti e - quindi - come il male assoluto. Stringe amicizia con altri capi di Stato anti-Usa, dall'iraniano Mahmoud Ahmadinejad al siriano Bashar al Assad. Nella sua rubrica di grandi amici c'è anche Muammar Gheddafi, al quale offre una sponda e un posto dove andare quando la guerra di Libia è ormai agli sgoccioli.

Negli anni della sua presidenza promuove il verbo rivoluzionario del Duemila in tutti i Paesi dell'America Latina. Dal brasiliano Lula al boliviano Evo Morales, Hugo Chavez costruisce mattone dopo mattone un fronte anti-Washington e gioca la carta dei petrol-dollari per sostenere qualsiasi movimento che si opponga al neoliberismo e al Fondo Monetario Internazionale.

Economicamente, punta tutto sull'oro nero. Nazionalizza le principali imprese venezuelane e decide di basare l'economia di Caracas solo e unicamente sui giacimenti petroliferi di cui il Paese è ricco. Questo però causa enormi scompensi all'interno. Gli scaffali dei supermercati mancano di pane e latte e una classe di funzionari a lui vicini si arricchisce improvvisamente.

Il cibo e l'elettricità costano tanto, troppo. Nel 2011, per razionare l'energia elettrica il governo chavista impone la chiusura anticipata dei cinema. Un paradosso per un Paese che siede su immensi giacimenti di petrolio.

Secondo i dati forniti dal suo governo, però, la povertà scende e i venezuelani godono di un benessere più diffuso. Intanto, dall'estero le principali organizzazioni per i diritti umani e civili denunciano atteggiamenti al limite del dittatoriale contro la stampa e contro l'opposizione. Ma Hugo Chavez vince tutte le elezioni con la maggioranza assoluta dei voti, sintomo che la base del popolo venezuelano lo ama, e questo indipendentemente dalla veridicità dei dati economici forniti da Palacio Miraflores.

Nel 2006 vince il secondo mandato presidenziale. In quel momento è praticamente l'imperatore dell'America Latina. In tutto il mondo viene celebrato dai nostalgici del socialismo reale come un nuovo vate, in grado di stigmatizzare i lati oscuri del capitalismo proponendo una nuova visione del mondo.

Ed è a fine giugno del 2011 che dall'Avana Chavez conferma per la prima volta le voci che lo danno gravemente malato. Ha il cancro, ma - assicura sorridente - lo sconfiggerà. Subisce due interventi chirurgici nel 2011 e altri due nel 2012, l'ultimo dei quali gli è fatale. La battaglia contro la malattia che aveva affrontato con coraggio e spirito combattivo in realtà lo lascia privo di forze.

A Caracas si  diffonde la voce che anche il presidente sia vittima della maledizione di Bolivar , che ha colpito tutti coloro che hanno assistito al dissotterramento delle ossa del grande condottiero, eroe della rivoluzione venezuelana e padre della patria. Magia o meno, i fatti parlano chiaro: tutti coloro che hanno assistito alla riesumazione di Bolivar sono morti. Incluso Hugo Chavez.

A ottobre del 2012 sconfigge il giovane Capriles, che capeggia l'opposizione, e si aggiudica il terzo mandato. Ma non è più il super-presidente di un tempo. Stanco e silenzioso, mentre solitamente cinguettava a raffica su Twutter, Chavez sta più spesso a Cuba per farsi curare che non a Caracas.

Inutili le preghiere collettive per la sua guarigione nelle principali città del Venezuela. El presidente è sempre più malato, ed è costretto a lasciare il potere nelle mani del suo vice, Nicolas Maduro, per volare nuovamente all'Avana per un nuovi cicli di terapia, che si rivelano inutili.

Adesso si apre un'altra era per il Venezuela, che si orienta a restare chavista pur senza Chavez. Ce la farà? Cuba, intanto, piange. Senza Chavez i fratelli Castro difficilmente otterranno il regalo di 2 miliardi di petrolio l'anno. L'economia dell'isola cubana potrebbe drammaticamente crollare, come un effetto diretto della morte del caudillo venezuelano. Ma ora a Caracas non c'è tempo né voglia di pensare a Cuba. Hugo Chavez è morto e il futuro del paese è imprevedibile.

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