Home » Attualità » Politica » «Ho votato no al processo perché Salvini non è un sequestratore»

«Ho votato no al processo perché Salvini non è un sequestratore»

«Ho votato no al processo perché Salvini non è un sequestratore»

«L’indagine a danno di Matteo Salvini è uno scandalo. Va bene la tattica, va bene la campagna elettorale, ma c’è un principio che va difeso: un ministro che fa il suo lavoro non si può processare se non si condivide il programma votato dagli italiani». L’analisi politica di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è sempre lucida e tagliente. «Io sono Giorgia»: cogito ergo sum, direbbe Cartesio.

Perché Fdi ha votato no al processo a Salvini?

«Perché è la fine della democrazia. Mentre un ministro che ha impedito l’immigrazione illegale viene processato, non sono mai stati nemmeno indagati i ministri che nei precedenti governi facevano apertamente favoreggiamento del reato di immigrazione clandestina. Ancora più scandalosi il Movimento 5 Stelle e il premier Giuseppe Conte. Se non erano d’accordo con l’attività del ministro dell’Interno, sarebbero dovuti andare da Sergio Mattarella per chiedere il ritiro delle deleghe. Se invece Salvini era un sequestratore, devo segnalare a Conte e Luigi Di Maio che, pur di rimanere seduti sulle poltrone, erano al governo con un sequestratore. Delle due l’una: o hanno ragione oggi e sono stati al governo con un sequestratore o avevano ragione ieri e stanno usando la giunta per le autorizzazioni a procedere per sanare conti politici».

Come si è mosso il governo italiano alla conferenza di Berlino sulla Libia?

«Già il fatto che la conferenza sulla Libia si sia tenuta a Berlino e non a Roma, come sarebbe stato naturale, segna la sconfitta della politica estera del governo. L’Italia ne esce ulteriormente indebolita. Lo rappresenta in modo desolante la fotografia di gruppo dei capi di governo a fine conferenza, in cui il premier italiano è stato rilegato in un cantuccio poco visibile. Intanto Haftar blocca i terminal di export di petrolio collegati ai pozzi Eni. È il prezzo di un governo debole e senza visione politica, neppure a livello internazionale».


Quali possono essere le conseguenze?

«Possono essere drammatiche, per la possibile immigrazione illegale di massa. Rischiamo di finire sotto il ricatto della Turchia per le questioni migratorie e rischiamo seriamente che l’Eni venga estromessa dalla Libia, con gravissime ripercussioni sull’approvvigionamento energetico italiano. Senza dimenticare i rischi di sicurezza e terrorismo che possono scaturire dall’instabilità. La debolezza e la superficialità con cui i governi che si sono susseguiti dal 2011 a oggi hanno affrontato il dossier libico sono gravissime».

Legge elettorale: la Consulta ha bocciato la raccolta firme per il referendum perché il quesito è manipolativo. Un cavillo o un tecnicismo?
«Non so se la Consulta sia stata particolarmente pignola o meno. Quello che mi interessa è che ora il centrodestra sia compatto nel respingere la proposta di legge proporzionale. Occorre chiedere con forza un sistema elettorale che garantisca stabilità e governabilità all’Italia. Penso si debba presentare una proposta univoca e Fratelli d’Italia sta lavorando per questo».

Intanto c’è il Germanicum: si risolverà il problema dell’ingovernabilità?

«Il Germanicum è un ritorno alla Prima repubblica, il via libera a operazioni di palazzo per assicurare la totale ingovernabilità. Una scelta gravissima fatta dalla sinistra e dal M5S, per provare a tenersi le poltrone contro la volontà degli italiani».

Il centrodestra rischierebbe di non farcela contro l’ammucchiata di centrosinistra?

«Non penso che sarà questo lo scenario futuro: la politica non è aritmetica. A oggi i sondaggi dicono che, nella peggiore ipotesi, con il Germanicum il centrodestra sarebbe tendenzialmente almeno in parità con il centrosinistra. Non credo poi che la miriade di partitini di sinistra raggiungerebbe la soglia del 4 o del 5 per cento prevista per entrare in Parlamento».

Che cosa pensa delle Sardine?

«Sono create dalla sinistra per mostrare agli elettori un volto diverso da quello ormai respingente del Pd e di tutta la sinistra. I movimenti che coinvolgono i cittadini e mobilitano le piazze sono sempre una cosa positiva. Non capisco, però, perché quando scende in piazza la destra si grida al rischio eversivo, quando invece scende in piazza la sinistra si celebra il bello della democrazia».

Ma sono proprio le Sardine ad accusare di sciacallaggio il centrodestra, e in particolare Salvini.

«Questo dimostra che le Sardine non sono un movimento spontaneo. Un movimento spontaneo che fa la guardia bianca degli scandali di Bibbiano è qualcosa di abbastanza distante dalla mia idea di partecipazione popolare».

Quello in Emilia Romagna sarà solo un voto regionale o avrà conseguenze nazionali?

«Le elezioni in Emilia-Romagna e Calabria sono un crocevia della storia, sia per dare a questi territori un’opportunità diversa, sia per offrire agli italiani la possibilità di rivendicare il valore della democrazia e della libertà di scelta. L’Emilia-Romagna, in particolare, è l’ultima roccaforte della sinistra in Italia. Se il centrodestra dovesse affermarsi anche lì, sarebbe evidente a tutti l’abissale distanza tra governo della nazione e volontà popolare. E non credo che il governo potrebbe continuare a far finta di niente».

Si vota anche in Calabria, meno simbolica ma più facile per il centrodestra?

«Per Fratelli d’Italia la Calabria non è meno simbolica dell’Emilia-Romagna. Alle ultime politiche il M5s ha fatto il pieno di voti in tutto il Sud-Italia. Un’affermazione del centrodestra in Calabria sarebbe un importantissimo segnale per sancire la fine della propaganda grillina. Entrambe le sfide di Emilia-Romagna e Calabria sono fondamentali: una in chiave anti Pd, l’altra in chiave anti M5S».

Il Pd s’è riunito in conclave nell’abbazia: basta cambiare nome o aprire ad «altri» per ritrovare l’anima di sinistra?

«Buona la scelta di chiudersi in monastero: a questa sinistra servirebbe un vero miracolo per rimettersi in piedi. Da molti anni la sinistra, non solo italiana ma anche europea e occidentale, si è tramutata nella forza di difesa dello status quo dell’élite e della visione mondialista e globalista. Segnando in questo modo una distanza incolmabile con le reali esigenze dei popoli.

Che cosa pensa della Voce libera di Mara Carfagna?»

«Mara Carfagna è un politico molto valido e mi auguro che la sua iniziativa possa arricchire ulteriormente l’approfondimento politico del centrodestra».

Il Times l’ha inserita tra le 20 persone che possono cambiare il mondo: lusingata?

«Mi ha fatto piacere che, con me, almeno un italiano sia stato inserito fra i 20 nomi. Sono molto lusingata dalla scelta del Times non tanto per me, ma perché un grande riconoscimento per il lavoro svolto di Fratelli d’Italia. Certo è un ulteriore stimolo a tentare di fare sempre meglio».

Il 24 per cento dei romani la vorrebbe sindaco? L’attrae il Campidoglio?

«Fare il sindaco di Roma credo sia uno dei più prestigiosi incarichi del mondo. Ma io mi sono già candidata alle ultime elezioni. Nel centrodestra ci sono persone validissime: sapremo dare alla Capitale d’Italia il sindaco che si merita».

Come ha preso il video virale «Io sono Giorgia»?

«Mi diverte molto ascoltare il motivetto: i ragazzi che hanno realizzato la base musicale sono bravissimi. Ma credo che abbiano influito anche le parole chiare utilizzate. In un’epoca nella quale rivendicare la propria identità è diventato un tabù, chi lo fa suscita subito grande interesse».

Sanremo e le 10 donne su cui Amadeus ha già fatto un paio di scivoloni: da donna che cosa ne pensa? E cosa dice di Rula Jebreal?

«Il festival di Sanremo è il festival della canzone italiana e di questo si dovrebbe parlare. Certo, fa riflettere che se da una parte si danno 25mila euro a Rula Jebreal per un monologo sulla lotta alla violenza sulle donne (tema non divisivo ma unificante), dall’altra ci sia in gara uno come Junior Cally, con canzoni sessiste e violente. Speriamo che questo Sanremo sia ricordato per la produzione musicale e non per le polemiche. Mi auguro che a vincerlo sia una donna. Non ho nulla contro la Jebreal, ma non capisco come possa rientrare nel contesto e perché gli italiani debbano pagarle un lauto compenso per un monologo politico senza contraddittorio».

Lei è l’unica donna leader di un partito. Quanto sente vicine le altre donne? E la votano più le donne o gli uomini?

«Mi sento vicina a chi condivide la mia visione del mondo e non necessariamente il mio genere. Ciò che sicuramente mi accomuna alle donne che primeggiano nel lavoro non sono solo gli ostacoli superati per arrivare al vertice (per le donne sempre il doppio rispetto agli uomini), ma anche le difficoltà di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari. Io sono una privilegiata, perché posso contare su un aiuto a casa e con mia figlia Ginevra. Per questo il mio modello sono quelle mamme e quei papà che non hanno la mia fortuna, ma riescono a fare tutto ugualmente. Non so se mi votano più donne o più uomini, ma so di avere il rispetto di molte donne e mi fa molto piacere».

FdI aumenta nei sondaggi. Perché?

«In un tempo in cui la parola non ha più valore, sempre più italiani riconoscono in noi un punto fermo. Noi non abbiamo mai tradito la parola data: la nostra coerenza è granitica. Noi non abbiamo mai chiesto voti agli elettori di centrodestra per poi fare alleanze innaturali con la sinistra. Ripetiamo le stesse cose fin dalla nascita e non abbiamo mai svenduto la nostra identità in cambio di poltrone. Il nostro perimetro è da sempre il centrodestra, abbiamo sempre dichiarato alleanze e programma prima del voto, senza mai cambiare idea. Il nostro comportamento non muterà. Anche se dovesse essere approvata una legge proporzionale, chiederò a ogni partito di dichiarare prima del voto con chi è disposto ad allearsi. In democrazia funziona così: io prima dico ai cittadini che cosa voglio fare e loro poi mi votano su quella base».

© Riproduzione Riservata