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La guerra sul web

La guerra corre sul web, è guerra che fa vittime anche se dalla rete non gronda sangue. Ai tempi del primo conflitto del Golfo e dell’intervento in Kosovo si parlò a lungo di come la guerra si fosse modificata, quasi che l’elemento umano fosse diventato marginale rispetto alla sfida tecnologica. Meno morti sul campo rispetto alle guerre tradizionali, “antiche”, facevano pensare che ci si avviasse verso una sorta di “war game” condotto da pochi “players”, giocatori senza volto davanti a qualche monitor e tastiera. E che alla lunga si potesse vincere o perdere a tavolino, dopo le prime fulminanti battute. Oggi, invece, assistiamo a una guerra guerreggiata che si combatte con grande consumo di vite umane e sangue, soprattutto innocente, in una sequela di episodi da scontro primordiale, tra decapitazioni di massa e atti di terrorismo kamikaze che non risparmiano i bambini, anzi li impiegano. Come auto-inneschi.

E a un secondo livello assistiamo alla guerra del web, che per sua natura è virtuale ma che ha un valore e effetti tragicamente concreti. La guerra del web, paradossalmente, in cui l’Occidente è indietro rispetto ai suoi nemici del Califfato. Il web è o dovrebbe essere il regno, il dominio, della libertà. Purtroppo, oggi è un immenso campo di battaglia. Attraverso il web i jihadisti arruolano aspiranti terroristi nel cuore stesso dell’Europa, e scatenano una campagna di delegittimazione contro tutti i governi arabi tacciati di corruzione e intelligenza col nemico, in nome della ricostituendo Umma (comunità islamica).


Alcune delle campagne web dell'Isis

@bad_shark1/Twitter
Un post su Twitter dell'hacker tunisino Maijdi, ritenuto da Anonymous uno dei principali agenti della propaganda jihadista sul web

Alcune delle campagne web dell'Isis

L'account Twitter dell'hacker tunisino Maijdi, ritenuto da Anonymous uno dei principali agenti della propaganda jihadista sul web

Alcune delle campagne web dell'Isis

@OpAntiISIS/Twitter
L'account Twitter di MIkaze Ghost (@OpAntiISIS) che avrebbe stanato uno dei responsabili della propaganda ISIS sul web

Alcune delle campagne web dell'Isis

Twitter @Rita_Katz
Il bambino dell'Isis

Alcune delle campagne web dell'Isis

@Rita_Katz/Twitter
L'immagine diffusa da Rita Katz con la presunta esecuzione pubblica di un uomo accusato di Sodomia in Iraq, nella provincia di Ninawa

Alcune delle campagne web dell'Isis

Web

Alcune delle campagne web dell'Isis

Twitter
Su twitter un account affiliato all'Isis libico ha pubblicato la foto di un jihadista armato, davanti al mare, che guarda il Colosseo sullo sfondo. Una scritta recita l'Isis "dalla Libia sta arrivando a Roma".

Alcune delle campagne web dell'Isis

ANSA/ WEB/ SITE
"Guardate la foto del mio compagno di prigionia Haruna massacrato nella terra dell'Isis. Eravate stati avvertiti". Queste le parole pronunciate dal giornalista Kenji Goto Jogo, il secondo ostaggio giapponese ancora in vita nel video di cui riferisce il Site, Roma, 24 Gennaio 2015. Nel video, che dura due minuti e 56 secondi, Kenji Goto Jogo presenta la nuova richiesta dei suoi rapitori: il rilascio di "Sajida al-Rishawi" in carcere in Giordania.

Alcune delle campagne web dell'Isis

ANSA/AL HAYAT

Alcune delle campagne web dell'Isis

ANSA/AL HAYAT
Il bambino arruolato dai miliziani dell'Isis pronto a sparare a due prigionieri

È colonizzando il web che l’Isis del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi s’impone come stella polare della costellazione jihadista, e costringe Al Qaeda all’alleanza o all’inevitabile declino. E è attraverso il web che i comunicatori dell’Isis diffondono i loro video di propaganda, terribilmente efficaci.

Isis, come funziona la propaganda della barbarie


Sul web si ripetono all’infinito gli inni che accompagnano come colonne sonore le immagini crude della guerra all’Occidente ma anche ai musulmani “apostati”. Gli inni sono per lo più senza accompagnamento musicale, intonati da “munshideen, cantori dalle voci potenti e suadenti” come sottolinea uno studio dell’Istituto studi di politica internazionale (Ispi). Canti diventanti popolari, virali, attraverso la Rete e le radio. Canti che puntano a galvanizzare i musulmani attorno alla causa jihadista.

La risposta occidentale è addirittura più lenta e meno efficace di quella degli islamici moderati. Youssef Helally, per esempio, è tra gli animatori di “Daya al-Taseh”, gruppo di 6 ragazzi che hanno creato sul web una serie di video che ridicolizzano l’Isis, usando l’arma dell’ironia, della parodia. Semplicemente, prendono in giro i decapitatori. Ne svelano i tratti grotteschi e tragici. Youssef vive in Turchia e critica l’attitudine di noi occidentali a render pubblici i video postati dai terroristi. Ridicolizzarli è a suo parere meglio di pubblicizzarli, perché la pubblicità gratis è una forma di sottomissione all’Isis, a ciò che l’Isis si aspetta che facciamo (pubblicare i video).

C’è poi la guerra dei “vigilanti”, come li definisce il New York Times, esperti nel setacciare il web a caccia di siti jihadisti. Stando a una ricerca del think tank americano Brookings, Twitter conta tra 46mila e 90mila account di affiliati e simpatizzanti del Califfo (tra settembre e dicembre 2014, mille sono stati bloccati). Senza contare che sul web si concentra oggi l’attività dell’Intelligence, sia occidentale sia jihadista. E anch’essa è guerra. Di fronte a questa raffinata sfida tra esperti informatici e militanti in Rete, risulta quasi ingenuo il tentativo censorio di governi come quello turco, che per ritorsione contro la pubblicazione delle foto dei terroristi di estrema sinistra e del magistrato in ostaggio (poi ucciso) ha deciso di oscurare i social network. Ovvio che i gruppi del dissenso sul web riescano a trovare la maniera per aggirare la trincea dell’oscuramento, durato qualche ora.

Neppure gli Stati organizzati reggono all’urto della rivolta sul web.  

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