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Economia

Guerra della valute: cosa sta succedendo tra Cina e Usa

Furioso. Il Presidente Donald Trump non ha preso bene la notizia che il dollaro ha superato quota 7 yuan e che in un solo giorno, a causa della svalutazione della moneta cinese, Wall Street abbia perso qualcosa come 700 miliardi di capitalizzazioni.

La "manipolazione di valuta" cinese

Il Presidente ha accusato Pechino di "manipolazione di valuta" twittando piccato: "La Cina ha abbassato il prezzo della loro valuta ad un minimo storico. Si chiama manipolazione della valuta. Stai ascoltando, Federal Reserve? Questa è una grave violazione che indebolirà notevolmente la Cina nel tempo!"

E' questo il nuovo fronte della guerra commerciale tra Usa e Cina, fronte che si è aperto nelle ultime 48 ore e che si prepara a far tremare l'intero ecosistema politico economico globale a più livelli.

Perché l'alterazione dei rapporti di forza tra moneta cinese e dollaro Usa determina effetti a cascata in primis sul vecchio continente con l'Euro e la Sterlina che navigano a vista nel tentativo di capire cosa ne sarà degli equilibri del mondo prossimi venturi.

Dalla guerra dei dazi alla guerra delle valute

Per comprendere perché la il Governo cinese sia arrivato ad approvare la svalutazione controllata del renminbi bisogna fare un passo indietro e tracciare una freccia che unisca la cosiddetta guerra dei dazia quella che è già stata definita guerra delle valute.

Da un anno a questa parte Cina e Usa si stanno fronteggiando a colpi di protezionismo. Se l'America di Trump ha imposto dazi e balzelli su quasi tutti i prodotti che arrivano dalla Cina (l'ultima tornata sarà attiva a partire da settembre) Pechino ci ha messo del suo bloccando l'import dei prodotti made in Usa (soprattutto agricoli) e sottraendosi sistematicamente a tutte le richieste avanzate da Washingtonoltre a sventolare sotto il naso di Trump la minaccia del blocco dell'export di terre rareovvero la "farina" di cui si nutre la Sylicon Valley per produrre la componentistica informatica, "farina" i cui giacimenti si trovano praticamente tutti in Cina.

L'ultima infilata di dazi al 10% su 300 miliardi di prodotti made in China, però, è stato un bel colpo per Pechino che si è trovata con le spalle al muro non avendo altri strumenti di ricatto commerciale da mettere sullo scacchiere della trade war.

E così Pechino ha aperto un nuovo fronte in questo Risiko globale dove la sensazione è che, alla fine, si facciano tutti più male che bene.

Cosa determina la svalutazione dello yuan

Il Governo cinese, infatti, per la prima volta, ha permesso che lo yuan si deprezzasse rispetto al dollaro. Questo fa si che comprare prodotti cinesi sia ancora più conveniente e che quindi l'effetto dazi venga neutralizzato dal costo inferiore del prodotto originario.

Inoltre questa svalutazione determina il fatto che l'import in Cina di prodotti Usa sia meno conveniente. 

Si tratta di una contromossa rischiosissima che potrebbe alterare gli equilibri geopolitici globali sebberne la banca centrale cinese abbia smorzato i toni asserendo, tramite le parole del governatore Yi Gang, che "La Cina non cercherà una svalutazione competitiva della sua valuta e non userà il mercato valutario come strumento per far fronte alle dispute commerciali".

Il problema - secondo diversi analisti- è che con questa mossa la Cina rischia di farsi molto più male rispetto ai danni che potrebbe fare perchè lo yuan non è una valuta pienamente convertibile e questa svalutazione potrebbe portare alla fuga di capitale dal Paese e potrebbe arrivare a mettere in difficoltà le stesse imprese cinesi, molte delle quali sono indebitate in dollari.

Gli effetti in Borsa 

Questo spiega il profondo rosso di Wall Street che nella giornata del 5 agosto, ha avuto la peggiore seduta di tutto il 2019 portando al ribasso tutti i listini mondiali.

Questo perché se Cina e Usa vogliono farsi la guerra tra dazi e svalutazioni varie in mezzo al conflitto finisce per caderci anche l'Europa con il vecchio continente che subisce colpi e contraccolpi delle sciabolate tra Washington e Pechino.

Anche perché Trump con la sua insistenza di suggerire alla Fed di mettere in atto una politica monetaria più accomodante, in fondo cerca di fare lo stesso giochino di Pechino e cioè di indebolire il dollaro rispetto all'euro e alla sterlina per far sì che per l'Europa sia più conveniente comprare prodotti Usa e più difficile vendere in America prodotti europei.

Le ripercussioni sul made in Italy

Per l'Italia - avvisa Coldiretti - questo significa mettere a rischio 42,4 miliardi di euro di beni italiani che vengono esportati verso gli Usa e che potrebbero finire nella black list del Dipartimento del Commercio statunitense.

Al momento capire chi trae vantaggio da questa disputa al ribasso è molto difficile dato che la sensazione è che ci siano solo vinti e nessun vincitore: la battaglia, infatti, ha indebolito la fiducia delle imprese e ha minato i settori manifatturieri tanto di Cina quanto di Stati Uniti proprio mentre l'economia mondiale continua a rallentare sempre di più la propria corsa e i consumatori finiscono per essere coloro che pagano coi propri stipendi il prezzo del superomismo imperante delle due potenze globali.




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