La resa di Giampaolo, vittima (non solo) dei suoi errori

E' durata solo centodieci giorni la parabola di Marco Giampaolo sulla panchina del Milan. Quattro mesi scarsi per mettere insieme tre vittorie nelle prime sette giornate del campionato, posizionare la squadra a metà classifica, strappare con gran parte del gruppo dirigente ed essere esonerato dopo lo stentato e fortunoso successo di Marassi. Una risposta insufficiente perché Boban (più ancora dell'estremo difensore Maldini) potessero immaginare di andare avanti con lui anche dopo la sosta.

A ben vedere un Milan accettabile si è visto solo per 50-60 minuti nei primi due mesi della stagione, quelli di Torino prima della rimonta granata. In precedenza e, soprattutto, dopo quella partita l'encefalogramma della qualità è stato piatto mentre si sono moltiplicate le scelte incoerenti e incomprensibili, a volte quasi provocatorie perché non in linea con la campagna estiva avallata anche dall'allenatore e messa ai margini nel momento delle decisioni.

ANSA/LUCA ZENNARO

Paga Giampaolo ma gli errori non sono solo suoi

E' in questa forbice che si è consumato lo strappo con Boban. Nella sconfessione del lavoro estivo sul trequartista, ripudiato dopo la prima caduta a Udine ma a ben vedere già messo fortemente in dubbio per un'amichevole nata male a Cesena. Oppure per l'accantonamento di Paquetà e Leao, 80 milioni di investimento in due, diventati problemi tattici prima che risorse in una rosa non strabordante di qualità.

Stessa parabola per Piatek, richiesto di un calcio lontano dalle sue capacità e spentosi rispetto al magnifico cannoniere che aveva aiutato Gattuso a sognare il terzo posto e la Champions. E poi le peripezie dialettiche, i proclami senza seguito, una certa sensazione di precarietà che si è respirata in fretta e alla quale ha contribuito anche lo stillicio - quasi mai bloccato - di voci da dentro e da fuori.

Può essere che Giampaolo non sia un allenatore da top club (ammesso che questo Milan lo sia), certamente averlo scelto e non avergli costruito attorno un fortino è responsabilità di altri prima che sua. Vale questo Milan il quarto posto? No. Il lavoro di Gattuso va rivalutato e certamente quella passata è stata una stagione anomala per rallentamenti di pretendenti a un posto in Europa.

Invece a Giampaolo, al di là delle frasi di circostanza, è stato chiesto di far veleggiare la squadra all'altezza delle altre. Verificheremo se chi verrà dopo sarà in grado di accontentare le attese. Di certo l'ex Sampdoria esce male dalla grande occasione della sua carriera ed è un peccato.

Paga anche l'etichetta di 'maestro di calcio' che gli è stata appiccicata con leggerezza dagli stessi che oggi, nella critica, non gli perdonano nulla. Andava difeso anche da questo, dai paragoni pesanti e impropri che spesso sono l'anticamera della fine di un sogno. Non era un maestro allora, Giampaolo, non è un fallito incapace adesso. I tifosi rimpiangeranno la sua onestà intellettuale, non le sue scelte. Ma a ridare al Milan la dignità di un tempo deve essere la proprietà facendosi guidare bene dai manager, non un allenatore cui viene consegnata una missione (quasi) impossibile.

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