Il lavoro rubato, fotografie di Francesca Romano

Francesca Romano

Febbraio 2013. Interno della fabbrica Nokia Jabil. Effetti personali degli impiegati. 


Francesca Romano

Settembre 2011. Roberto Malanca, 47 anni, delegato Fiom, durante un’assemblea al presidio Jabil. 


Francesca Romano

Settembre 2011. Sonia Erli, 52 anni, operaia, durante un’assemblea al presidio Jabil. 


Francesca Romano

Febbraio 2013. Roberto Malanca nella tenda dentro la fabbrica Nokia Jabil. 


Francesca Romano

Febbraio 2013. Interno della fabbrica Nokia Jabil. 


Francesca Romano

Febbraio 2013. Interno della fabbrica Nokia Jabil, corridoio d’ingresso. 


Francesca Romano

Settembre 2011. Roberto de Romedi, 51 anni, operaio, al Presidio Jabil. 


Francesca Romano

Settembre 2011. Manifestazione degli operai Nokia Jabil, S. S. Padana Superiore, Cassina de’ Pecchi. 


Francesca Romano

Settembre 2011. Cinzia Minaò e Carmen Biancaccio, operaie, preparano il pranzo. 


Francesca Romano

Settembre 2011. Cancelli della fabbrica. Gli operai rimasti attivi entrano per il loro turno. 


Francesca Romano

Febbraio 2013. Uscita della fabbrica. Lungo il corridoio esterno che va alla mensa è vietato correre. 


Sarà in mostra dal 29 maggio al 5 giugno all'Umanitaria di Milano, nell'ambito del Photofestival 2014 , il reportage di Francesca Romano dal titolo "Il lavoro rubato". Progetto di fotografia sociale, il lavoro di Romano racconta la lotta di un gruppo di lavoratori della fabbrica Nokia Jabil di Cassina 'de Pecchi, in presidio permanente per difendere il posto di lavoro, dopo un licenziamento comunicato per fax. Un caso che ne rappresenta tanti altri, nell'Italia degli ultimi anni: "una ricerca sul mondo reale, sulla speculazione di pochi che porta alla povertà di tanti", nelle parole dell'autrice, che così racconta questo suo lavoro: "Li ho frequentati diverse volte, a distanza di un anno dal primo incontro mi hanno fatto entrare nella fabbrica vuota, è stato uno strazio vedere le macchine accese e loro azzerati nella propria dignità di padri e madri di famiglia. In mezzo a loro ho sentito un profonda ferita nell’anima collettiva. Ho cercato di restituire loro, col mio lavoro, i valori che mi hanno trasmesso, hanno saputo unirsi e lottare insieme."

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