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Economia

I fondi per il lavoro che non creano neppure un posto

Sono ben 480 i milioni di euro che lo Stato dovrà sborsare per incentivare le assunzioni nel mercato dei call center. Ma la cosa paradossale, stando a uno studio condotto dal sindacato Slc Cgil, è che questi soldi non creano neppure un posto di lavoro. Come è possibile? La risposta è abbastanza semplice.

Mettiamo il caso che venga aperta una nuova azienda di call center in Calabria. Le società che assumono nuovo personale in regioni a obiettivo 1, cioè le aree dell’Unione Europea dove è presente un ritardo dello sviluppo, come la Calabria, ottengono il massimo degli incentivi previsti dalla legge 407/90. Inoltre, grazie ai contributi Fse, il fondo europeo che promuove l’occupazione e sostiene i disoccupati, riescono ad avere un costo del lavoro inferiore fino al 47 per cento rispetto alle aziende che operano con dipendenti assunti da almeno 3 anni. Non a caso nel Mezzogiorno si sono insediate un terzo delle aziende presenti nel settore dei call center, che conta al momento circa 80 mila addetti.

Immaginiamo ora che l’azienda calabrese partecipi a una gara pubblica o privata per la gestione, per esempio, di un servizio di call center per un operatore telefonico. La gara è al massimo ribasso, chi la vincerà? La nuova azienda calabrese, che ha meno costi, visti gli incentivi. Mentre il concorrente che non gode degli aiuti perderà la commessa e licenzierà i dipendenti. Però lo Stato sostiene contestualmente sia i costi per gli incentivi all’occupazione sia quelli per gli ammortizzatori sociali: così sia il lavoratore occupato sia il nuovo disoccupato sono tutti e due a carico dello Stato.

Un meccanismo che non funziona e che gli stessi protagonisti del settore, imprese e sindacati, invitano a modificare.

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