Fiat, gli Agnelli e il vero potere delle imprese famigliari

Ripartire dal capitalismo familiare, capirne l’essenza. L’affermazione, forse un po’ borghese in tempi di start-up e di social network, è  tornata d’attualità dopo che il numero uno di Fiat Sergio Marchionne ha annunciato il ritiro (poi quasi rientrato) del progetto “Fabbrica Italia". Di fronte alla nuova emergenza il coro è stato unanime: “Ma la famiglia Agnelli, dov’è?”. E si è aperta di nuovo la discussione. “Siamo sicuri che se non ci fossero stati gli Agnelli, Marchionne non sarebbe già scappato negli Usa?” commenta a proposito Bernardo Bertoldi, docente di economia all’Università di Torino.

Da anni Bertoldi anima il pensatoio torinese che periodicamente riunisce i rampolli delle famiglie imprenditoriali, grandi o piccole che siano, per scambiare esperienze e studiare nuovi modelli di gestione. Si tratta di un’iniziativa che tiene conto sia dell’esigenza di crescita e gestione manageriale che la competizione globale oggi richiede, sia del fatto che oltre l’80 per cento delle aziende italiane è a gestione familiare. “Il mercato è miope, punta al guadagno immediato. Oggi invece abbiamo bisogno di una visione di lungo termine e di valori che coincidono soltanto con le famiglie imprenditoriali, perché davvero interessate a perpetuare se stesse e la loro storia” è il credo di Bertoldi.

Da qui la ricerca di nuovi strumenti che aiutino le imprese famigliari a tenere le redini dell’azienda senza per questo dover rinunciare ai capitali o ai vantaggi del mercato. Come? “Stiamo studiando gli effetti di un sistema nuovo per l’Italia ma non, ad esempio, per la Francia o gli Stati Uniti (anche se con modalità diverse)” continua Bertoldi. “Si tratta di un meccanismo che garantisca alle azioni in carico alle famiglie un voto multiplo, rendendole più pesanti rispetto a quelle sul mercato. Aiuterebbe a tenere la barra diritta, e a non piegare valori e visione ai capricci degli azionisti affamati di guadagno”. E in questo contesto, poco importa se l’amministratore delegato faccia o non faccia parte della “famiglia”. Anzi.

Attualmente il controllo delle famiglie sull’azienda viene esercitato o attraverso il meccanismo delle holding di partecipazione o mantenendo la maggioranza azionaria. E’ davvero possibile andare oltre? E perché? “Il nostro studio parte da un censimento estero, per poi analizzare se le performance aziendali  sono migliori dove le azioni si pesano a e non si contano. Perché farlo? Perché così l’investitore potrà decidere se crede nella politica aziendale e fare le sue speculazioni e investimenti. La proprietà continuare a perseguire il suo piano industriale senza interferenze”.

Il tema non è banale e se ne è appena occupato anche il socio fondatore di Weissman Italia e Austria nonché consulente specializzato Markus Weishaupt, autore (in collaborazione con Franco Marzo e Matthias Theiner) del volume “Preservare l’impresa familiare. Vincere la sfida generazionale con metodo, cuore ed empatia (edizioni FrancoAngeli). Si parte dall’amara e nota considerazione che circa l’85 per cento delle aziende familiari non sopravvive alla terza generazione per arrivare a indicare una strada possibile.

L’accenno più interessante è quello alla Costituzione di Famiglia: un documento necessariamente scritto con cui si regolano i punti critici del ricambio generazionale.  Vi si indicano valori aziendali e familiari, principi di gestione, norme sulla composizione dei conflitti, cultura d’impresa e competenze, ruoli e passaggi di quote con uno sguardo di lunghissimo termine. E l’obiettivo è crescere. Non vendere massimizzando il profitto.

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