Quest’anno la Ferragni (sempre più sola) non mangerà il panettone

Che Chiara Ferragni sia pentita non c’è ombra di dubbio. La figura meschina l’ha fatta. E ha anche chiesto scusa. Un Natale dopo. Un milione e rotti di mila da parte dell’Antitrust dopo. Sedicimila follower persi dopo. E un numero imprecisato di meme che la vedono ora ostaggio delle brigate rosse, lei troppo compagna per essere a destra, troppo capitalista per essere a sinistra; ora associata a Soumahoro, simile nel look e nelle lacrime indotte, ma soprattutto nel farsi simbolo del diritto all’eleganza, unico ingrediente che mai bisogna dare per scontato, nemmeno se a farla fuori dal vaso è la fashion influencer italiana più seguita nel mondo.

Poca eleganza, tanta ingordigia. Non per i denari, quelli che sarà costretta a sganciare per accertata pubblicità ingannevole, nemmeno per quelli che sgancerà, perché così ha annunciato, quasi a voler dimostrare che lei non si scompone manco se deve tirar fuori un milione per i bambini che la goffa (diciamo così) campagna vendite dei pandori griffati dello scorso anno ha strumentalizzato senza che un euro in più venisse devoluto a favore dell’ospedale che avrebbe dovuto esserne beneficiario. Se serve si fa anche questo. Purché tutto finisca. Purché si torni a pensarla Santa Chiara da Citylife, cittadina filantropa (la moda passa, le buone azioni restano) che si guadagna l’Ambrogino d’Oro a suon di follower sgancianti, portandosi a casa il patentino di quella giusta, di quella che quando si rivolge alla classe politica può permettersi di dire “mi fate schifo”.

Nelle lacrime servite sull’unica piattaforma dove non sono ammesse domande, sono limitati certi termini (non si può scrivere Balocco, ad esempio), dove Chiara Ferragni parla e se vuoi la ascolti, dove il limite tra fans club e social pubblico è praticamente inesistente, c’è qualcosa di sincero e sentito. La solitudine. La solitudine di una che quando racconta la sua vita nella serie patinata venduta a peso d’oro ad Amazon Prime, fa vedere di avere un team per ogni azione e che probabilmente, mal guidata in un tentativo di pompare l’immagine di quella che fa le cose per il mondo e l’umanità, e che quando deve difendersi, intorno a sé trova unicamente chi le spiega che per essere credibile deve vestirsi grigio pentimento, pettinarsi da “poretta me” e annunciare ai follower che donerà 1 milione di euro. Il tutto mentre il marito, dall’altra parte del salotto, esercita il sacrosanto diritto al benaltrismo, rinfacciandoci tutti i milioni raccolti quando il governo che li ingaggiò per sensibilizzare lo state a casa durante le fasi più nere del covid faceva spallucce davanti all’emergenza posti letto. Altra occasione persa per contemplare l’eleganza del silenzio.

A quelle lacrime di Chiara Ferragni hanno creduto in pochi, al rebranding che declassa la pubblicità ingannevole all’errore di comunicazione, in una formula di piena autoassoluzione, ancora meno. Segno che anche gli allocchi che mettono like sulla fiducia e che magari non avevano i soldi per comprarsi certe borse inarrivabili, ma per un pandoro sovrapprezzato a fin di bene sì, dopo un po’ si ribellano. E lì son lacrime, lacrime amare. Perché un milione in meno se sei Chiara Ferragni magari non ti fa soffrire ma scatenare un grande giramento di maroni sì e fan piacere pure i giramenti, ma se mi togli gli allocchi che ad ogni “ciao guys” hanno già il cuoricino nell’indice, quello sì, se di social media ne capisci qualcosa, sai che potrebbe essere l’inizio della fine. O forse l’incipit di una nuova puntata di “The Ferragnez”.

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