Europa dentro o fuori, torna lo splendido isolamento britannico?

Un gamble, un gioco d'azzardo. E' questa la parola più utilizzata dai commentatori britannici al termine dell'appassionato discorso del premier David Cameron, che promette un referendum sull'Europa qualora venisse rieletto.

In o out. Se i Tory vincessero le prossime elezioni nel 2015 i cittadini del Regno saranno chiamati alle urne per decidere il loro destino in Europa entro il 2017. E' "un biglietto di sola andata", come l'ha definito il numero 10 di Downing Street, che ha assicurato che si impegnerà "anima e cuore" affinché Londra resti nel club dei 27, ma alle sue condizioni.

La mossa di Cameron mira a ricompattare il partito conservatore, profondamente diviso sulla questione e, allo stesso tempo, lancia un salvagente a tutti quegli elettori delusi che ancora credono nello "splendido isolamento" della Gran Bretagna e che continuano a sognare una Londra libera dal giogo di Bruxelles.

Ma la promessa del premier britannico è quanto mai scivolosa. Non c'è alcuna certezza che i Tory riconquistino Downing Street nel 2015 e, nel caso, un referendum sull'Unione europea potrebbe giocare brutte sorprese, come insegna il precedente irlandese.

Non è un caso che, sin da quando Cameron ha preso in mano il partito conservatore nel 2005, abbia accuratamente cercato di tenere l'Europa fuori dalla sua agenda. Troppo spinoso come argomento e, soprattutto, troppo pericoloso scegliere una bandiera pro-Bruxelles all'interno di un consesso fondamentalmente euroscettico, reso ancora più ostile nei confronti delle istituzioni europee a causa della crisi economica che ha investito il Vecchio Continente.

Nel suo discorso David Cameron ha ripercorso punto per punto la storia del Regno Unito, sottolineando come quest'ultima vada a braccetto con l'Europa sin dall'epoca degli antichi Romani. Ma ha dimenticato tutto un altro lato della storia britannica, quella segnata dall'età dell'oro del colonialismo e dalla politica dello splendido isolamento, di vittoriana memoria.

E' chiaro che Cameron non ha alcuna intenzione di uscire dall'Europa, ma vuole invece "salvarla", attraverso una serie di riforme strutturali, che - ovviamente - vanno nella direzione degli interessi della Gran Bretagna. Il premier chiede una moneta unica più forte, ma allo stesso tempo, sottolinea ancora una volta che il Regno Unito si terrà ben stretta la sua sterlina e non entrerà mai e poi mai nell'euro.

Dall'invasione dei Romani alla Riforma e poi la Seconda guerra mondiale, Cameron tiene fuori dal suo discorso solo la Gloriosa rivoluzione e le guerre Napoleoniche, ma il concetto è chiaro: la storia britannica insegna che il Regno Unito è ondivago, a volte si arrocca in uno splendido isolamento, altre lega il suo destino in modo indissolubile con quello del resto dell'Europa.

Se c'è una cosa che la Storia insegna sulla Gran Bretagna e l'Unione europea è che i rapporti non sono mai stati definiti e sereni e che Londra preferisce restare comunque un passo fuori dal club, pur partecipando in modo attivo alle attività e alle politiche di Bruxelles.

Certo, è anche evidente che la maggioranza dei britannici preferirebbe un'Unione squisitamene economico-commerciale, una sorta di ritorno al passato con una comunità del carbone e dell'acciaio rivisitata in chiave contemporanea, ma tutto questo è impossibile.

"Nebbia sulla Manica: l'Europa è isolata". Questa famosa battuta inglese spiega più di millle parole il complesso di superiorità che vivono i britannici nei confronti del Continente europeo. Ma la teoria politica dello splendido isolamento andava per la maggiore nella seconda metà dell'Ottocento, quando ancora esisteva l'impero britannico coloniale e l'Inghilterra era una super potenza mondiale.

Così, il Regno Unito poteva permettersi di non entrare in alcun sistema di alleanze con gli altri paesi, preservando la sua superiorità anche (e soprattutto) nei confronti del continente europeo. Ma poi venne la Prima guerra mondiale, la Grande depressione degli anni Trenta e la Seconda guerra mondiale, che costrinsero la Gran Bretagna a rompere il suo isolamento e a combattere per un destino comune con l'Europa.

Nel suo discorso dal quartier generale di Bloomberg oggi David Cameron ha sottolineato che "Il pericolo più grande per l'Unione europea non viene da quelli che chiedono un cambiamento, ma da tutti coloro che denunciano come eresie le nuove proposte". Ma quanto c'è di nuovo nelle idee del premier britannico? In realtà ben poco.

Basti pensare al 1979, quando Margaret Thatcher fece il suo ingresso a Downing Street. Ce la ricordiamo mentre danza con Ronald Reagan, chiaro segno di come in quegli anni lo sguardo del Regno Unito si volge oltre l'Atlantico e non certo verso Bruxelles. Fu proprio la Lady di Ferro a incarnare l'euroscetticismo britannico in chiave moderna.

Margaret Thatcher decise di non abbandonare la sterlina, "our oney, la nostra moneta e - allo stesso tempo - si tenne lontana da quel capitolo del Trattato di Maastricht che segna il passo del welfare e delle direttive sull'organizzazione del lavoro nell'Unione.

Secondo la Thatcher, l'euro e le politiche sociali volute da Bruxelles avrebbero minato la solidità della City londinese. In fondo, lo stesso Cameron non è poi tanto eretico quando si scaglia contro il fiscal compact e la regolamentazione europea anti-crisi per salvaguardare l'integrità della City. Prima di lui ci aveva già pensato la la Lady di Ferro.

E poi, non dimentichiamoci che il cittadino medio britannico ha un'altra versione della narrativa riguardante la Seconda guerra mondiale. Più che combattere per "salvare l'Europa" dal nazi-fascismo, l'idea dei britannici è che la guerra sia stata combattuta "da soli contro un nemico comune. Durante la Prima guerra mondiale era la Francia, poi è diventato la Germania. Insomma, per Londra e dintorni esistono solo due cose per cui vale la pena di morire: la Regina e la Gran Bretagna, tutto il resto è percepito come "altro", e quindi distante da sé.

Cameron gioca col fuoco, secondo i leader europei, ma lui sta tirando l'acqua al mulino della politica interna e conta così di riuscire a vincere le prossime elezioni, usando il bastone nei confronti dell'Europa e la carota con i membri del suo partito.

Una cosa è certa, però, e lo sa anche lui: fuori dall'Europa sarebbe molto difficile per la Gran bretagna riuscire a risollevarsi completamente dalla crisi economica che l'ha colpita al cuore. Il premier propone di rinegoziare con Bruxelles diverse questioni, ma il punto è se Bruxelles vorrà farlo.

Per ora, la prima stoccata a Cameron arriva da Parigi. Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, è netto: nessun Paese può pensare di rimodellare l'Unione europea a sua immagine e somiglianza. Mentre dalla Germania tutto tace. Angela Merkel pensa alle elezioni di ottobre, che potrebbe perdere o vincere sul filo del rasoio.

Insomma, la Gran Bretagna ancora una volta sta giocando una partita tutta sua. Nel 2015 sapremo se David Cameron passerà alla storia come il leader del referendum sull'Ue o se invece passerà il testimone agli avversari del Labour. Ma su una cosa il premier britannico ha ragione: l'esito del referendum sull'Europa è un biglietto di sola andata.

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