La scritta Equitalia Nord negli uffici degli sportelli per il pubblico di piazza Dante, Genova, 19 settembre. ANSA/LUCA ZENNARO
Economia

Quanti processi contro Equitalia

Anche questa volta, com’era già successo due anni fa, i forconi si sono divisi tra violenti e pacifisti, velleitari e pragmatici, agricoltori e padroncini. Impossibile trovare un unico spago che tenga insieme tanta disperazione. Le loro sgangherate proteste avevano pochi denominatori comuni: i politici, certo, «che ci hanno portato alla rovina». E soprattutto Equitalia: oggetto di odio incondizionato e incommensurabile. Inumana e vessatoria, fredda calcolatrice di folli interessi, forte con i piccoli imprenditori e spuntata con grandi evasori: la società che riscuote i tributi per conto dello Stato sarebbe responsabile, a sentir la vulgata, di tutti i mali di questo paese. Ma la protesta, negli ultimi tempi, non si è limitata alla sporadica indignazione di piazza. La vera battaglia contro Equitalia ora è nei tribunali. Già da anni, nella aule di giustizia sono arrivate valanghe di cause contro l’ente: civili, penali, in Commissione Tributaria. Invano, però. Solo adesso gli esiti cominciano a essere differenti. E il potere dell’agenzia comincia a vacillare. 

Federitalia è un’associazione che ha sede in capannone nella periferia di Parma. Assiste gratuitamente imprenditori e aziende messe in ginocchio da banche e fisco. La presidente è Wally («Come la protagonista della celebre opera lirica») Bonvicini, piccola imprenditrice, ramo abbigliamento. Federitalia, solo quest’anno, ha presentato più di diecimila querele contro Equitalia, accusandola di usura. «Anatocismo»: la parola rimbomba di continuo in questi freddi stanzoni suburbani. Sembra si discuta di malattie esantematiche. In realtà, significa far pagare gli interessi sugli interessi. Pratica proebita dalla legge, «ma praticata grazie a codici e norme secondarie» sostiene Bonvicini.  

La bellicosa presidente di Federitalia è una signora piccola e rotonda, amante dei tortellini, occhi vispi e frangetta castana: «Le cose stanno cambiando» racconta. «Per anni i nostri esposti sono stati ignorati. Adesso, dopo la nostra opposizione, capita sempre più spesso che il gip riapra le indagini». Come, ad esempio, ha fatto lo scorso ottobre Pietro Mondaini, giudice del Tribunale di Rovigo. Ha imposto al magistrato, che aveva chiesto l’archiviazione, ulteriori verifiche. Compresa una consulenza tecnica sul tasso applicato da Equitalia al querelante: una ditta edile di Adria. L’imprenditore aveva ricevuto quattro cartelle tra il 2009 e il 2012: 43.491 euro in totale. La perizia di parte, affidata da Federitalia a Sante Scian, esperto del settore, calcola che il valore reale della sanzione era meno della metà: 19.899 euro. Ma tra more, interessi e compensi la cifra reclamata dalla società, assicura Scian, è più che raddoppiata. In appena tre anni. 

La Procura di Roma sta battendo una strada analoga. Il pm Edoardo De Santis, lo scorso settembre, ha ordinato una consulenza sui tassi applicati a un’imprenditrice torinese, titolare di un’azienda meccanica: la richiesta dell’ente, denuncia la donna, sarebbe salita da 1,2 a 1,7 milioni in pochi anni. Anche la Procura di Fermo, ha ordinato controlli sull’operato di Equitalia, denunciata in questo caso da un imprenditore di Falerone. La sua azienda di moda si era vista recapitare, tra il 2005 e il 2011, ben 22 contestazioni: per un totale di 1 milione e 72 mila euro.  Il consulente tecnico del magistrato, Camillo De Stefanis, il 22 aprile del 2013 consegna l’esito dei suoi accertamenti: «Tutte le cartelle di pagamento presentano un tasso effettivo superiore al tasso soglia» mette nero su bianco. «Sussiste, sotto il profilo soggettivo, il reato di usura». Manca però «un atteggiamento soggettivamente doloso, teso a creare un danno ingiusto per ricevere un corrispettivo a titolo di profitto». Un’interpretazione della legge che ricorre spesso in cause simili. 

«Ma come fanno a dire che non c’è dolo?» si agita Bonvicini, nel suo ufficio, sommerso da pile di carte processuali. «L’anatocismo non può essere inconsapevole. Il software che calcola gli interessi è impostato da qualcuno. O le cartelle si compilano da sole? Nessuno cerca i veri responsabili. Il principio del “non poteva non sapere» si può applicare a Silvio Berlusconi. Ma ad Attilio Befera no». Bonvicini si riferisce ovviamente al potentissimo e criticatissimo presidente di Equitalia. Che ha reagito alle periodiche accuse dell’impreditrice parmense con una selva di controquerele. «Tutte archiviate» sostiene Bonvicini. 

Come archiviata è stata anche l’inchiesta della Procura di Fermo. E quella dei pm di Modena. A querelare era stato un imprenditore, che aveva visto lievitare il suo debito da 95 a 148 mila euro. Il gip, Domenico Truppa, lo corso maggio archivia. Auspicando però «scelte legislative coraggiose di sospensione delle cartelle esattoriali: in modo da dare ascolto alle pressanti esigenze di quella parte della società civile che soffre la situazione debitoria in atto». 

Il Governo ci ha maldestramente provato, con un emendamento depositato in Commissione Bilancio alla Camera. Prevede la rottamazione dei debiti pregressi senza interessi, pagando tutti gli arretrati in un’unica soluzione: entro il 28 febbraio 2014. Una norma che peggiora (e di molto) la precedente versione licenziata al Senato: due rate, da saldare entro maggio. In Lombardia, invece, hanno deciso di tagliare la testa al toro. «Dal primo gennaio» ha assicurato l’assessore all’Economia, Massimo Garavaglia, «farà tutto la Regione: così ci toglieremo dalle scatole Equitalia». Il nuovo fisco alla lumbard, ha aggiunto «terrà in dovuta considerazione le reali condizioni patrimoniali dei cittadini, distinguendo i soggetti che volutamente evadono da quelli in effettiva difficoltà». Proposito nobile e arduo, che ricorda quello di eliminare sciocchi e incompetenti rivolto a Charles De Gaulle. Il generale francese genialmente rispose: «Vasto programma!»       

Insomma, può darsi che anche questa volta i magistrati siano più svelti dei politici. Indagini sull’ente di riscossione sono in corso in moltissime procure italiane: Cuneo, Pescara, Venezia, Busto Arsizio, Trani. Mentre a Santa Maria Capua Vetere, il pm Antonella Cantiello ha già chiesto il rinvio a giudizio di Salvatore Cammisa, ex direttore dell’Equitalia di Caserta, denunciato per usura da un imprenditore. L’uomo, in un anno, aveva visto salire il suo debito con il fisco da 82 mila a 112 mila euro. Il magistrato scrive che in tre casi ci sono «interessi e vantaggi usurari risultati superiori ai tassi soglia rilevati trimestralmente dalla Banca d’Italia nei singoli periodi in oggetto». La prima cartella al centro dell’inchiesta, dettaglia il pm, ha «interessi nella misura del 20,22 per cento». La seconda arriva al 27,62 per cento. La terza sfiora il 30 per cento. L’avvocato Dezio Ferraro, che difende l’imprenditore casertano, sostiene: «Nel caso specifico, trattandosi di concessionari statali, il superamento del tasso soglia non poteva non essere conosciuto. Ed Equitalia aveva l’obbligo di verifica». La prossima udienza è fissata l’8 gennaio del 2014. In aula si confronteranno il perito di parte e il consulente tecnico del ministero. Che, oltre ad aver scovato le tre richieste apparentemente fuorilegge, nelle conclusioni ammette: «Equitalia non è sempre risultata chiara nell’esposizione di tutti i valori maturati nel corso del tempo, rendendo l’identificazione di alcune poste di difficile interpretazione».  

Più coraggio, fino a oggi, c’è stato invece nelle cause civili. A partire dai giudici di pace, che si occupano di multe e sanzioni del codice stradale. L’ultima decisione è del 15 novembre 2013: Luciano Civita, magistrato onorario di Sarzana, nello spezzino, ha annullato una cartella inviata da Equitalia a un pensionato, difeso dall’avvocato Alessandro Pontremoli. Cinque multe da 89 euro comminate nel 2009 per altrettanti ingressi nella zona a traffico limitato di Lerici, nelle Cinque Terre. Arrivate nel 2012, tra aggi e interessi, a 2.820 euro: «Un incremento non giustificato dal mero decorso temporale, senza alcun sollecito di sorta, senza la firma di un funzionario, senza analisi delle poste creditorie: ciò appare palesemente contrario non solo ai principi dell’ordinamento, ma al più comune buon senso». Il giudice di pace di Sarzana, oltre a condannare Equitalia al pagamento delle spese processuali, le impone di ridurre la cartella a poco più di mille euro: un terzo di quanto preteso dall’ente. Confermando implicitamente l’ipotesi più allarmante: la società farebbe pagare anche tre volte quanto stabilito dalla legge.  

In un altro caso, invece, il debito è stato annullato del tutto. Maria Gabriella Conocchiella, giudice di pace di Roma, lo ha deciso a marzo del 2012. Doveva sentenziare su una richiesta di 1.310 euro: multe stradali arretrate. «La cartella impugnata è illegittima sotto vari profili», scrive il magistrato onorario: reati prescritti, nome del titolare del procedimento mancante, tasso superiore ai limiti, atti mai notificati, mancanza di motivazione.      

Duemilaottocentoventi euro: aggiungendo quattro zeri si arriva alla cifra contestata il 18 ottobre 2013 a Diego Armando Maradona: 39 milioni e 620 mila euro. Gli impiegati di Equitalia hanno persino tentato di pignorare orologio e monili del calciatore più famoso del pianeta, appena atterrato a Ciampino. Agguato poi stigmatizzato con l’inelegante gesto dell’ombrello offerto a «Che tempo che fa», di fronte a un inerte Fabio Fazio. 

Il campione argentino è finito nella lista nera del fisco per una vecchia storia di sponsorizzazioni e diritti d’immagine: un accertamento di 12 miliardi di lire del 1990. All’epoca però Maradona non viveva più in Italia. Contestazioni uguali vennero fatte ad altri due giocatori del Napoli, Careca e Alemão, e al al presidente della squadra, Corrado Ferlaino. I tre impugnarono l’accertamento: assolti. «Maradona invece non si oppone: era da anni all’estero e non sapeva nulla delle contestazioni» ricostruisce Angelo Pisani, legale del campione e presidente del Movimento AntiEquitalia. «Ha ricevuto la prima notifica nel 2001. Fece ricorso, ma venne respinto: tardivo». Da quel momento comincia la tenzone fiscale.

Il 21 novembre 2013 l’ex calciatore passa al contrattacco. Pisani presenta una querela per falso contro la procedura intentata da Equitalia, chiedendo l’annullamento delle «pretese infondate». Il 12 febbraio 2014, al Tribunale di Napoli, ci sarà la prima udienza del processo «Maradona contro il Fisco»: una saga giudiziaria che promette faville. 

twitter@AntonioRossitto

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