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Elodie: «Mi sognerete per tutta l’estate»

Dopo il secondo posto a Sanremo, il suo nuovo brano Guaranà si candida, con milioni di clic, a hit dell’estate. La cantante racconta a Panorama l’infanzia complicata, la strada faticosa che l’ha portata alla vetta e perché da bionda si è fatta nera con le treccine: «Volevo somigliare di più a mia mamma che è creola».


Presentarsi sul set di un videoclip dopo due mesi di clausura è stato un po’ come andare in gita. Il mio stato d’animo era quello di una bambina che parte per le vacanze» racconta a Panorama Elodie, a proposito delle immagini che accompagnano Guaranà, la sua esuberante hit per l’estate post Covid-19 (mezzo milione di clic in streaming e 600 mila views su YouTube nella prima settimana). «Abbiamo girato al Circeo, rispettando rigorosamente le misure di sicurezza. C’era un’atmosfera fantastica di eccitazione, avevamo tutti una gran voglia di lavorare. Questa emergenza ha colpito duramente migliaia di professionisti dello spettacolo: nelle scorse settimane ho fatto il possibile per stare vicino alle persone del mio staff, per far in modo che nessuno si sentisse troppo solo» aggiunge.

Il lockdown è scattato nel momento più fortunato della sua carriera, sull’onda del successo dell’album This is Elodie. Come ha reagito e come ha trascorso le settimane del distanziamento fisico e sociale?

All’inizio non l’ho presa molto bene perché per me lavorare e interagire con i miei collaboratori significa vivere. Poi mi sono adeguata, cercando di tenere la mente impegnata tra allenamenti, film, e videogiochi, persino giochi da tavolo. Fermarsi mi ha aiutato a capire, a riflettere su quanto fossi felice della mia vita. Ho anche rivoluzionato l’acconciatura, avevo bisogno di vedermi con le treccine, più dolce e femminile, più in connessione con le origini di mia madre che è creola, originaria delle Antille francesi. Mi sistemava così i capelli quando ero piccola… Non voglio mai annoiarmi di me, nemmeno esteticamente. Questo tempo sospeso l’ho trascorso con Marracash, il mio compagno. Stiamo molto bene, siamo affiatati. Certo, ogni tanto, come tutte le coppie, litighiamo: ognuno ha i suoi spigoli, non ne faccio mistero nemmeno nelle interviste. Non dico molto della mia vita attraverso i social, ma quando parlo con un giornalista mi svelo per ciò che sono, con i miei mostri, le mie luci. Non mi interessa che venga rappresentata un’immagine da Mulino bianco, anche perché non sarebbe coerente con la mia storia e il mio vissuto. Vengo da un altro mondo, il Quartaccio di Roma, un posto dove la vita non è facile.

Si definirebbe una ragazza cresciuta troppo in fretta?

Io i conti con la dura realtà li ho fatti da bambina, in un’età dove la famiglia dovrebbe essere un fortino impenetrabile, dove l’immaginario dovrebbe essere quello delle favole. Questa sensazione di sicurezza e protezione non l’ho mai provata, pur essendo cresciuta senza schemi e nella più totale libertà d’azione. La separazione dei miei genitori, tutto sommato, l’ho metabolizzata in fretta. Ciò che invece mi ha segnato nel profondo è stato comprendere fin da piccola quanto dolore possano provare gli esseri umani, quelli deboli, indifesi che non hanno niente, nemmeno l’acqua calda. Ho visto da vicino la povertà e la violenza in un contesto di persone che, non avendo niente da perdere, erano totalmente trasparenti e dove il più pulito aveva la rogna. Ora che la mia vita ha preso una piega diversa, non mi sono dimenticata degli amici, dei vicini di casa, delle persone con cui sono cresciuta. Io osservo e accarezzo l’animo umano, ma non giudico…

Per anni suo padre è stato un musicista di strada: ha vissuto con imbarazzo questa sua scelta?

Mi vergognavo un po’, ma solo perché mi faceva paura quel che avrebbero potuto pensare e dire gli altri. In realtà, lui era un uomo libero, si sentiva a suo agio, facendo quel che desiderava mostrava coraggio. Un coraggio che mi ha aiutato, negli anni successivi, a non preoccuparmi di ciò che pensa la gente. Anche grazie a lui sono cresciuta, sono meno vulnerabile e non mi lascio condizionare dai pregiudizi.

Che cosa le ha insegnato il lavoro di dancer nei club e nelle discoteche?

La scuola di vita nel mio quartiere mi aveva fatto capire già da giovane che spesso è necessario sapersi difendere. Il fatto che una ragazza stia ballando su una pedana non autorizza nessuno a essere volgare, ad allungare le mani o a fare riprese sconvenienti con il cellulare. Detto questo, mi sono fatta valere, anche a colpi di tacco sulle mani di chi non le teneva a posto. Pure mia madre si esibiva ballando nei locali. Ai tempi non l’avevo presa bene, ero vittima, a mia volta, di preconcetti. Poi, trovandomi a fare lo stesso lavoro, ho capito quanto fosse stupido e fuorviante appiccicare etichette…

Una decina d’anni fa è stata a un passo dall’entrare nella fase finale di X Factor, una chance sfumata all’ultimo istante durante gli home-visit. Fu un bene o una grande occasione sfumata?

In realtà è stato meglio non andare avanti… Non ci credevo neanch’io perché non mi sentivo pronta, anche se ovviamente speravo di partecipare alla fase finale. Adesso, però, posso dire che non era il momento giusto. Avevo troppa paura.

Ogni artista ha come colonna sonora della propria vita le canzoni e gli album di musicisti che lasciano un segno per sempre. Chi c’è nel suo pantheon personale?

Senza dubbio Lucio Battisti. Lui e Mogol hanno fatto un lavoro talmente eccezionale sui testi e sulle note da andare oltre i generi musicali. Lo dimostra chiaramente un disco straordinario come Anima Latina. Mogol è stato capace di raccontare le emozioni trasformandole in parole che, ascoltandole, diventavano immagini. Battisti e Pino Daniele erano artisti liberi, erano davvero cittadini del mondo, artisticamente parlando. Adoro anche Mina. Così sofisticata, «alta». Così femmina

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