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Elezioni 2013, l'analisi del voto: PD

Niente, pure stavolta il Pds-Ds-Pd si è scassato durante i tempi supplementari, proprio quando la vittoria elettorale sembrava cosa già bella e fatta. È successo nel 1994, con Achille Occhetto segretario e la sua «gioiosa macchina da guerra». Si è ripetuto nel 2006, con Romano Prodi candidato premier, capace di pareggiare con un Silvio Berlusconi partito con 15 punti di svantaggio. Sette anni dopo tocca a Pierluigi Bersani indossare la maglietta del perdente. Solo che stavolta la sconfitta è arrivata nel peggiore dei modi: ai calci di rigore.

Il trionfo era lì, a portata di mano. Ma il Partito democratico ha sbagliati tutti i tiri dal dischetto. L’errore d’origine è stato quello di aver detto di sì al governo tecnico-recessivo di Mario Monti. Poi Bersani si è incartato per settimane in discorsi sulle alleanze post-elettorali, che per l’elettore medio sono il tema più respingente che ci sia. Infine, il leader Pd ha sottovalutato almeno quattro tra fenomeni e temi elettorali: Berlusconi, Beppe Grillo, il fisco e il caso Monte dei Paschi di Siena.

Il risultato è che la coalizione guidata da Bersani ha appena superato i 10 milioni di voti, 3 milioni e 700 mila in meno di quelli ottenuti da Walter Veltroni nel 2008, che tra l’altro perse nettamente le elezioni. Insomma, il Pd stava meglio quando stava peggio.

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