Sopravvissuti a Ebola: ritratti dalla Liberia

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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Benetha Coleman, 24 anni. Suo marito e i suoi due figli sono morti a causa della malattia.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Emanuel Jolo, 19 anni, studente del 12° grado, ha perso sei familiari e pensa di essersi ammalato lavando il corpo del padre, morto di Ebola.
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Paynesville, Liberia, 12 ottobre 2014. Sontay Massaley, 37 anni, sorride dopo essere stata dimessa dal Centro di Medici senza frontiere, al termine di un ricovero di 8 giorni. Prima di ammalarsi lavorava in un mercato.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Jeremra Cooper, 16 anni, si asciuga la fronte dal sudore. Studente dell'8° grado, ha perso sei familiari prima di ammalarsi. Ricoverato per un mese nel Centro di Medici senza frontiere, si è poi rimesso.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Victoria Masah, 28 anni, ha perso il marito e due figli.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Mohammed Bah, 39 anni, autista, ha perso la moglie, il padre e la sorella. Si è rimesso dopo una settimana di ricovero nel centro di Medici senza Frontiere. Racconta di essere stato emarginato da tutti e di essere rimasto solo con i suoi due figli.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. James Mulbah, 2 anni, con la madre Tamah Mulbah, 28 anni, entrambi sopravvissuti a Ebola.
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Paynesville, Liberia, 12 ottobre 2014. James Harris, 29 anni, guarito dopo due settimane di ricovero, si è ammalato curando il padre. Ex operaio edile, ora si occupa di informare e consigliare i pazienti del Centro di Medici senza frontiere.
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Monrovia, Liberia, 13 ottobre 2014. Nancy Paye, 20 anni, di fronte al Centro per la cura dell'Ebola dell'ospedale JFK., da cui è stata dimessa. Vende tessuti in un mercato e si è ammalata aiutando un'amico con il virus.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Anthony Naileh, 46 anni, e la moglie Bendu Naileh, 34 anni. Anthony è uno stenografo al Senato e ha pianificato di tornare al lavoro in gennaio. Bendu è un'infermiera. Pensa di essersi ammalata poggiando le mani in preghiera su un nipote malato. Ha trasmesso poi il virus al marito mentre si prendeva cura di lei.
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Paynesville, Liberia, 12 ottobre 2014. Oliver Weeh, 40 anni, insegnante di storia in una scuola superiore. Ha perso un fratello e una sorella più giovani; probabilmente si è ammalato prendendosi cura di loro.
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Monrovia, Liberia, 13 ottobre 2014. Abrahim Quota, 5 anni, di fronte all'ospedale JFK, da cui è stato dimesso dopo un ricovero di 10 giorni. I suoi genitori, arrivati in ospedale insieme a lui, sono morti entrambi.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Mohammed Wah, 23 anni, operaio edile. Ha perso 5 familiari a causa della malattia. Pensa di essersi ammalato prendendosi cura della nipote.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Moses Lansanah, 30 anni, operaio edile, ha perso la fidanzata Amifete, 22 anni, che era al 9° mese di gravidanza.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Peters Roberts, 22 anni, studente dell'11° grado, ha perso una sorella, un cugino e lo zio, occupandosi del quale pensa di essersi ammalato a sua volta.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. John Massani, 27 anni, operaio edile. Ebola ha ucciso 6 membri della sua famiglia allargata. Dice di aver preso il virus prendendosi cura di uno di loro.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Varney Taylor, 26 anni. Racconta di avere perso 3 familiari e di aver contratto il virus trasportando il cadavere della zia.
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Paynesville, Liberia, 12 ottobre 2014. Lassana Jabeteh, 36 anni prima di un turno di lavoro al Centro di Medici senza frontiere. Prima di ammalarsi lavorava come tassista e pensa di aver contratto il virus da un passeggero che si è sentito male sul suo taxi, mentre lo portava all'ospedale. Ora lavora offrendo conforto e sostegno ai malati.
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Paynesville, Liberia, 12 ottobre 2014. Mohammed Jan Jallo, 40 anni, venditore in un mercato, è rimasto ricoverato 9 giorni.
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Paynesville, Liberia, 12 ottobre 2014. Zaizay Mulbah, 34 anni, e Mark Jerry, 30 anni, pronti a un turno di lavoro al Centro di Medici senza frontiere. Prima di ammalarsi, Jerry lavorava come cambiavalute e Mulbah come pony espress. Sono stati curati nel centro dove adesso lavorano dando conforto e sostegno ai malati.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Ami Subah, 39 anni, ostetrica, pensa di essersi ammalata aiutando una donna partoriente affetta dal virus. Il bambino è sopravvissuto, ma la madre è morta. Racconta di non aver più lavorato dopo il suo ricovero, per via dell'emarginazione imposta a chi ha avuto la malattia: "Non vogliono nemmeno lasciarmi prendere l'acqua dal pozzo comunitario".
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Eric Forkpa, 23 anni, laureando in ingegneria civile, pensa di aver contratto il virus prendendosi cura dello zio malato.
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Paynesville, Liberia, 16 ottobre 2014. Vavila Godoa, 43 anni, sarto, racconta quanto forte sia lo stigma derivante dall'aver avuto a che fare con Ebola. A causa dei pregiudizi, ha perso tutti i suoi clienti. Pensa di essersi ammalato occupandosi della moglie malata, che non ce l'ha fatta.
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Monrovia, Liberia, 13 ottobre 2014. Il medico d'emergenza Philip Ireland, sopravvissuto alla malattia, posa di fronte al JFK Hospital, dove lavora. Si è ammalato in luglio e si è rimesso dopo 3 settimane.

Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, il tasso di mortalità dell'epidemia di Ebola in corso nell'Africa occidentale è di circa il 70%. Sono oltre 1800 i casi accertati di persone che hanno contratto il virus ma sono guariti e diventati immuni. 

In Liberia, il fotografo John Moore ha chiesto a decine di loro di posare per un ritratto e raccontare la propria storia. Li ha incontrati in un Centro per il trattamento dell'Ebola di Medici senza frontiere a Paynesville, subito dopo una riunione di sopravvissuti, e presso il Centro per la cura dell'Ebola dell'ospedale JFK di Monrovia.

Tutti hanno perso almeno un familiare, alcuni l'intera famiglia. Molti raccontano di avere perso anche il lavoro per via dell'emarginazione da parte della comunità, che ha paura di chiunque abbia avuto a che fare con il virus, anche se si è immunizzato e non rappresenta più un pericolo per gli altri. 
Medici senza frontiere ha arruolato alcuni di loro perché lavorino accanto ai malati, offrendo conforto senza temere il contatto fisico e senza necessità di indossare la pesante tuta protettiva usata dagli operatori sanitari, seppur muniti di guanti, grembiule, mascherina e occhiali. 


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