Dopo Walter e Max: l'anno zero della sinistra

Caduto uno, è caduto anche l’altro. Non poteva che finire così, se è davvero finita, tra Massimo D’Alema e Walter Veltroni, i “duellanti” del Pd impegnati da vent’anni in una guerra fratricida che ha sfibrato la sinistra. Una guerra  fatta di capricci, gelosie, invidie personali, colpi sotto la cintura, rancori, reciproci dispetti. E perfidie. Perché perfido è stato l’atto finale, degno di un eoico kamikaze: l’annuncio televisivo dato da Walter (poche c’è mancato che l’evento avvenisse a reti unificate) della sua rinuncia alla candidatura nelle prossime elezioni politiche. Certo che lo sapeva: immolandosi lui, avrebbe messo in difficoltà l’altro, proprio quando Massimo aveva cominciato a tessere silenziosamente la sua tela per ritentare l’ascesa al Quirinale, dopo essere stato bruciato già sette anni fa, quand’era ormai con un piede dentro il palazzo presidenziale. E così è successo: colto di sorpresa dal beau geste del rivale, di fronte alla freddezza di Pierluigi Bersani nei suoi confronti e alle masse che volevano veder rotolare nel cesto anche la sua testa, D’Alema non ha potuto fare a meno di seguire l’esempio di Veltroni. E addio sogni quirinalizi.

Vedremo se siamo davvero all’ultimo atto della “guerra civile” combattuta sulla pelle della sinistra. O se, invece, come qualcuno pronosticava (auspicava) qualche tempo fa, ormai in pensione, i due continueranno a darsele di santa ragione nei giardinetti pubblici, tirandosi addosso persino le dentiere. Ma intanto, il lascito dell’odio che si sono scambiati in questi due decenni è piuttosto pesante: un Pd che forse arriverà primo alle prossime elezioni, ma sempre a rischio scissione di fronte alle scelte strategiche, dalle alleanze al programma. Un partito, insomma, che con ogni probabilità la prossima legislatura governerà il Paese. Ma con quanta efficacia, è un dubbio più che legittimo. E riuscire a scioglierlo, rassicurando un Paese con un drammatico bisogno di certezze, è il vero problema con cui dovrà fare i conti il capo che uscirà vincitore dalle primarie del Pd.

Una volta usciti dalla scena D’Alema e Veltroni, gli altri dirigenti della vecchia guardia con già molte legislature alle spalle non potranno far finta di niente. Prevedibile, quindi, una “spontanea” ecatombe di “rottamandi” che spunterebbe l’argomento più pungente di Matteo Renzi e rafforzerebbe Bersani, che al momento resta ancora il favorito. Ma se vincerà le primarie, l’attuale segretario questa volta dovrà dimostrare di possedere anche la stoffa e il carattere del leader. Non potrà accontentasi di navigare a vista, come ha fatto finora, rinunciando a scegliere e a decidere per mantenere unite le mille anime del partito. Dovrà dimostrare di saper camminare sulle proprie gambe. Di essere capace non solo dell’amministrazione dell’esistente, ma  anche di visioni lunghe. Tanto più che, avendolo di fatto scaricato, adesso non potrà contare sul vecchio amico e grande elettore D’Alema. Il quale, mentre Bersani si occupava della gestione ordinaria del partito, lui era (o credeva di essere) il facitore delle politiche e delle strategie del Pd.

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