Investimenti esteri: la classifica dei Paesi europei

Attrarre investimenti dall’estero? Auguri. I dati appena rilasciati dall’Ocse relegano l’Italia agli ultimi posti tra le grandi economie europee in quanto a destinazione dei soldi stranieri.

Il grafico mostra la quantità di investimenti di aziende estere nei quattro anni che vanno dal 2009 al 2012 in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo sia rispetto al Pil (cerchio nero) del Paese sia in miliardi di dollari. Se devono venire in Europa per essere investiti, i capitali mondiali preferiscono andare in Gran Bretagna: tra il 2009 e il 2012 ne sono arrivati per 240,8 miliardi di dollari, pari al 10,3% del Pil britannico. Subito dopo in Germania: 135,5 miliardi in 4 anni pari al 4% del Pil. Dopo la Germania c'è la la Francia, 121,5 miliardi pari al 4,6% e poi la Spagna con 104,2 miliardi di dollari di investimenti pari al 7,4% del prodotto interno lordo. Infine il Portogallo con 25,4 miliardi attirati negli anni della grande crisi pari all’11,3% del Pil interno. In questa classifica l’Italia fa una pessima figura perché ha attirato 79,7 miliardi di dollari, il triplo rispetto al Portogallo, ma rispetto al Pil si tratta di appena il 3,8%.

Per di più il 2013, secondo i dati dell'Ocse, non è partito affatto bene: nel secondo trimestre (aprile-giugno) gli investimenti esteri internazionali sono scesi del 28% toccando i 256 miliardi di dollari e quasi la metà (47%) sono finiti in Gran Bretagna, Cina e Stati Uniti mentre il resto è andato ai Paesi che mostrano particolare dinamicità come Sud Africa, Indonesia, Brasile e Russia.

Questo significa che per l’Italia riuscire ad accaparrarsi una quota maggiore di investimenti esteri rispetto al passato sarà un’impresa quasi disperata perché non solo non è un Paese attraente ma, soprattutto, perché la concorrenza dei Paesi ad alta crescita economica è agguerritissima. E per ribaltare la tendenza che ci vede esclusi dai grandi flussi degli investimenti non basteranno certo le 35 proposte, non ancora trasformate in norme, che, secondo indiscrezioni, sono contenute nel piano "Destinazione Italia" del governo come, ad esempio, la liberalizzazione delle concessioni balneari e la velocizzazione delle norma sul cambio di destinazione d'uso dei grandi spazi coperti. Occorre ben altro.

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