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(Ansa)
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Documenti «declassificati»: dopo il «Lodo Moro» spunta il «Lodo Scalfaro» (con armeni e Olp)

Non c’è stato solo il cosiddetto «Lodo Moro», quell’accordo, segreto, che prende il nome dall’allora ministro degli Esteri Aldo Moro, concepito all’inizio degli anni Settanta per cercare di proteggere gli interessi italiani dalla minaccia dalle organizzazioni palestinesi. Che, a più riprese, soprattutto a ridosso delle stragi di Ustica e Bologna, continuavano a ideare attacchi ad aerei, ambasciate ed altri siti dell’Italia tenendo sotto ricatto il nostro Paese.

L’intesa, emersa oramai da svariati documenti, concedeva alla galassia terroristica araba di far transitare uomini, armi ed esplosivi attraverso l’Italia. E, in cambio, garantiva che i mujaheddin si sarebbero trattenuti da nuove azioni eversive ai nostri danni.
Dalla “declassificazione”, decisa, finalmente, dal governo Meloni, di 163 documenti, coperti fino a pochi giorni fa dal segreto di Stato e protetti, per anni, dalla classifica «Segretissimo», emergono nuove verità. E spunta, dopo il “Lodo Moro”, un accordo “gemello”, sconosciuto fino ad oggi, il “Lodo Scalfaro”, dal nome dell’allora ministro dell’Interno che fu informato, passo passo, dai Servizi segreti italiani dell’intesa che si andava strutturando.

Il dossier, recuperato pochi giorni fa dalla ricercatrice Giordana Terracina all’Archivio di Stato, a Roma, e ora in possesso di Panorama.it è un faldone di 429 pagine contenenti cablogrammi, minute e scambi di messaggi tra il colonnello Stefano Giovannone, a capo del centro Sismi di Beirut (soprannominato «Bermude»), e il governo italiano.
Documenti che si arrestano cronologicamente davanti all’abisso del 27 giugno 1980, il giorno della strage di Ustica, per riprendere, poi, a settembre dello stesso anno, ma «saltando» anche la strage di Bologna.

Il materiale desecretata porta, come detto, alla luce la circostanza inedita di un altro accordo segreto finora sconosciuto, un gemello del «Lodo Moro», concordato e firmato, anche questo, dai Servizi segreti italiani, autorizzati ad agire in tal senso dal governo di Roma, ma con l’Asala, l’Armenian secret army for the liberation of Armenia, attraverso la mediazione dell’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat, che garantiva la tenuta dell’intesa.

Fondata nel 1975 a Beirut, nel corso della guerra civile libanese, da Hagop Hagopian, il cui nome vero è Haroutyun Takoushian, e l’Asala era un’organizzazione terroristica marxista-leninista responsabile, in 11 anni di intensa attività eversiva, di decine di attentati mortali, soprattutto contro i diplomatici turchi in tutto il mondo.

Di quell’accordo con l’Asala fu informato certamente l’allora ministro dell’Interno italiano, Oscar Luigi Scalfaro. Tant’è che in uno delle centinaia di documenti declassificati, quello datato 19 agosto 1983 e che ha come oggetto «Problemi di interesse per la sicurezza dell’Italia», il direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare dell’epoca, il generale di corpo d’armata Ninetto Lugaresi, scrive all’allora titolare del Viminale («In riferimento al colloquio che ho avuto stamane con la Signoria Vostra Onorevole…») sollecitando un suo intervento in relazione a tre argomenti: uno è, per l’appunto, l’accordo da raggiungere e firmare per far interrompere la catena di attentati compiuti anche sul suolo italiano dall’Asala.

Nella nota indirizzata a Scalfaro, ecco quel che scrive Lugaresi: «Nell’aprile del 1980 (quattro mesi dopo sarebbe esplosa la bomba alla stazione di Bologna, ndr), allo scopo di bloccare le azioni terroristiche armene contro l’Italia, sono stati presi contatti tramite l’Olp con l’Asala, conclusi nel dicembre dello stesso anno con una bozza di accordo (all. 1) dal quale si rileva che all’Italia si chiede di non consentire il transito sul proprio territorio degli emigranti armeni (diretti verso gli Stati Uniti)».

L’Asala, che con i suoi attentati puntava a costringere la Turchia ad addossarsi la responsabilità dell’uccisione di 1 milione e mezzo di armeni, a risarcire il popolo armeno e a concedere una porzione di territorio per la creazione di uno Stato armeno, non voleva, ovviamente, che il suo popolo fuggisse all’estero perché questo avrebbe indebolito proprio le battaglie contro la Turchia.
Così cercava di ostacolare, in tutti i modi, i cittadini armeni dal lasciare il Paese, anche pretendendo con la forza dagli altri Paesi, Italia compresa, limitazioni o divieti verso gli emigranti.

E questo era uno dei punti qualificanti di quello che oggi potremmo chiamare il «Lodo Scalfaro».

«All’epoca», ricorda Lugaresi a Scalfaro, «era stato ottenuto dagli Usa di chiudere gli uffici romani noti che svolgevano nella Capitale le pratiche di immigrazione e di concedere il visto di transito per l’Italia soltanto agli armeni che si presentavano presso l’ambasciata di Mosca».

L’ufficiale ricordava anche che «recentemente il console generale Usa ha chiesto al Mae (la Farnesina, ndr) la concessione del visto anche presso l’ambasciata d’Italia a Beirut». E, quindi, Lugaresi metteva in guardia il ministro: «Ritengo che l’attuazione del provvedimento proposto dal console Usa potrebbe avere riflessi negativi ai fini della sicurezza perché potrebbe essere assunto quale pretesto da parte dell’Asala per rinnovare azioni violente contro interessi italiani, compresi quelli, rilevanti, presenti oggi in Libano».

La questione ricorda la vicenda dei missili di Ortona.Quattro anni prima, il 7 novembre 1979, tre aderenti ad Autonomia operaia e il giordano Abu Anzeh Saleh, esponente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) erano stati arrestati nel piccolo centro vicino a Chieti per il trasporto in Italia di due missili terra-aria Sam Strela 7. E, poi, erano stati processati e condannati.
Per quella vicenda, il Fplp aveva fatto di tutto per evitare il procedimento e la condanna del suo rappresentante, Saleh: in un’udienza del processo, a Chieti, era stato letto un proclama del Fplp che rivendicava i missili come suoi. E accennava a non meglio identificate «intese» che avrebbero dovuto garantirne la restituzione.

I nuovi documenti di cui stiamo parlando sembrano riproporre, in fotocopia, un caso assai simile.Solo che stavolta non è l’Fplp ad agitare minacce contro l’Italia per far liberare Saleh, ma l’Asala.Lugaresi, infatti, suggerisce: «Considerato che, a suo tempo, era stata mostrata tolleranza per il semplice transito degli emigranti attraverso l’area internazionale dell’aeroporto di Fiumicino, il ministero dell’Interno potrebbe riesaminare la possibilità di realizzare apposite strutture logistiche in tale area. Ciò eliminerebbe, fra l’altro, la necessità del visto presso le Rappresentanze italiane all’estero e contribuirebbe ad attenuare il rischio di rappresaglia».
In allegato, nella nota inviata da Lugaresi a Scalfaro e controfirmata per ricevuta, c’è la bozza di accordo, tradotta, fra il governo italiano e l’Asala esplicato in tre punti:Primo punto: «Il governo italiano si impegna a chiudere tutti i centri emigrazione sul suolo italiano che trattano l’emigrazione organizzata del popolo armeno dai Paesi arabi e socialisti».Secondo punto: «L’Asala si impegna a non proseguire nelle sue operazioni militari dirette contro persone ed interessi italiani in Italia all’estero».Terzo e ultimo punto: «L’Olp garantisce questo accordo e la sua attuazione pratica».
Le cinque pagine del documento desecretato, che svela l’esistenza di un «Lodo Scalfaro» tra lo Stato italiano e l’Armenian secret army for the liberation of Armenia, per evitare attentati in Italia, sono accompagnate da una lettera scritta a mano su carta intestata del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare - Ufficio del direttore - il capo della segreteria - nella quale si legge: «Caro Violante, ti restituisco come concordato per le vie brevi la minuta dell’Appunto del sig. Direttore del Servizio per Ministro Scalfaro».
Il tema era già stato trattato da Lugaresi. In precedenza, infatti, il 28 febbraio 1982, il direttore del Sismi aveva posto all’attenzione del Cesis (il Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) il problema delle «minacce dell’Asala contro obiettivi in Italia» oltre alla vicenda del palestinese Yousef Nasry el Tamimy arrestato a Fiumicino, due mesi prima, con 14 detonatori.

Nel documento ora declassificato, Lugaresi giudicava «necessario che venga resa nota al ministero dell’Interno la serietà delle minacce dell’Asala ai fini della protezione degli obiettivi turchi in Italia e dei centri di assistenza per l’emigrazione degli armeni», e sottolineava che «è confermata la determinazione degli armeni nel porre in atto la minaccia di cui all’intervista di Hagop Hagopian riportata sull’Espresso n. 6 del 14 febbraio scorso».
Lugaresi aggiungeva che «l’Olp ha assicurato il proprio intervento, inteso a ottenere un ulteriore congelamento, in attesa di una risposta alle note richieste, delle operazioni in Italia, ma ha anche ipotizzato che i libici forniscano sostegno finanziario agli estremisti armeni, da cui deriva la possibilità di una utilizzazione dell’Asala ai loro fini». Un mese prima, il 29 gennaio 1982, sempre Lugaresi scriveva al Cesis e ai ministri degli Esteri e dell’Interno, ricordando i prodromi dell’accordo con l’Asala. Che si era concretizzato nel dicembre 1980 in una bozza, per il tramite dell’Olp, e «sul quale doveva essere espresso il parere delle autorità italiane».
Successivamente, segnalava Lugaresi, «si richiedeva di favorire sui mass-media italiani la diffusione dell’idea armena e i problemi connessi».
Un mese dopo ci sarà, effettivamente, l’intervista su L’Espresso ad Hagop Hagopian, fondatore dell’Asala.
Andrà diversamente al settimanale Panorama, «punito» da Hagopian - per un’intervista che il fondatore dell’Asala evidentemente non doveva aver apprezzato - con un attentato al deposito della Mondadori a Porta Ticinese. Non solo.
Le minacce di morte dell’Asala che arrivarono a Panorama costrinsero la direzione del settimanale a proteggere il giornalista autore dell’intervista che non era piaciuta ad Hagopian, trasferendolo come corrispondente a New York. Mentre al direttore dell’epoca, Carlo Rognoni, fu assegnata una vettura blindata.

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