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Economia

Deflazione, cosa fare per uscirne

L'appuntamento più atteso è quello di giovedì prossimo, 4 settembre, quando Mario Draghi terrà l'ennesima riunione mensile della Banca Centrale Europea. Sarà in quell'occasione, che si capiranno meglio le possibili mosse del presidente della Bce contro la deflazione, la caduta dei prezzi al consumo che rischia di far ripiombare l'Eurozona in una nuova, pesante crisi economica.

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Per scacciare lo spettro della deflazione, ormai tutti scommettono sull'avvio (entro la fine dell'anno) del tanto discusso quantitative easing (o alleggerimento quantitativo), cioè l'acquisto da parte della Bce di titoli a media e lunga scadenza sul mercato, per immettere una montagna di liquidità nel sistema finanziario e ridare una spinta al ciclo economico. Quali titoli verranno comprati dalle autorità monetarie di Francoforte? E' questo l'interrogativo su cui ruotano molte discussioni degli osservatori e che ancora non trova risposta.

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Gli acquisti della banca centrale europea potrebbero infatti concentrarsi soltanto sul settore privato, cioè sugli asset backed securities (abs). Si tratta di strumenti finanziari frutto di cartolarizzazioni, cioè di operazioni con cui le banche trasformano in titoli, negoziabili sul mercato, i crediti vantati nei confronti della clientela (e in particolare delle imprese). Potendo contare sul serbatoio delle cartolarizzazioni , gli istituti di credito dovrebbero essere spinti a dare più soldi in prestito al sistema economico, con la prospettiva di trasformarli poi in titoli finanziari e fare scorta di liquidità a Francoforte.

C'è però una seconda opzione per il quantitative easing europeo che consiste in un acquisto diretto, da parte della Bce, anche dei titoli di stato dell'Eurozona, come ha già fatto la Federal Reserve, la banca centrale americana con bond governativi d'Otreoceano. L'obiettivo è quello di far scendere ancora gli spread, cioè i differenziali di rendimento tra i Buoni del Tesoro dei paesi finanziariamente più solidi (Germania in testa) e quelli delle nazioni maggiormente indebitate (a cominciare dall'Italia). Un ulteriore calo degli spread significherebbe minori tassi d'interesse sul mercato, una boccata di ossigeno per bilanci pubblici di alcuni paesi e anche un salvagente per parecchie banche, che di Buoni del Tesoro hanno le casse piene.

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Senza dimenticare, poi, le manovre che Draghi ha già messo in cantiere con le nuove aste di Tltro (targeted longer term refinancing operation), che partiranno a metà settembre. Si tratta di operazioni con cui la Bce metterà disposizione delle banche una montagna di finanziamenti a basso costo (400 miliardi di euro a un tasso dello 0,25% circa) subordinandoli però a una condizione: l'impegno da parte degli istituti di credito a utilizzare i soldi ricevuti per impieghi non finanziari, cioè non per fare speculazione ma per allargare i prestiti alle imprese e sostenere il ciclo economico.

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Basteranno tutte queste misure a far uscire l'Europa dalla spirale della deflazione? Negli Stati Uniti sembrano aver funzionato, anche se c'è un particolare importante che occorre non sottovalutare. Olteoceano, i mercati dei capitali sono infatti la principale fonte di finanziamento per l'economia e la Federal Reserve, con il suo interventismo, ha avuto la strada spianata nell'imprimere la rotta del ciclo economico, stabilizzare il sistema e far ritrovare al paese la strada della crescita. In Europa, invece, lo scenario è ben diverso. Le imprese del Vecchio Continente, infatti, dipendono poco dal mercato dei capitali e molto, invece, dai finanziamenti erogati dalle banche, che oggi hanno i bilanci zavorrati dalle sofferenze e sono molto avare nel dare soldi in prestito. Come se non bastasse, poi, non va dimenticato che, sempre in Europa, il settore delle cartolarizzazioni procede da tempo a singhiozzo e non sarà facile per la Bce creare velocemente un nuovo serbatoio di liquidità per gli istituti di credito.

Un contributo contro la deflazione potrebbe in teoria arrivare anche dai governi europei che, tuttavia, oggi sembrano avere le armi spuntate. Tagliare massicciamente le tasse o spendere soldi per gli investimenti sono infatti misure che restano nel libro dei sogni, almeno nel Vecchio Continente. Per quale ragione? A parte l'austerity predicata dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel, c'è un dato che fa capire bene in quale ristrettezze si muovono i governi di Eurolandia. Negli anni '30 del secolo scorso, ai tempi della Grande Depressione, in America si uscì a combattere la spirale deflazionistica con le politiche keynesiane, cioè aumentando la spesa e il debito pubblico. Peccato, però, che lo scenario macroeconomico di allora fosse ben diverso da quello di oggi. Come ha messo in evidenza l'economista Francesco Daveri sul sito Lavoce.info, negli anni '30 la spesa degli stati (nei paesi Ocse) era in media attorno al 30% del pil mentre oggi sopra il 45%. Inoltre, i debiti pubblici dei maggiori paesi industrializzati ha raggiunto il massimo storico (fatta eccezione per i periodi post-bellici) e ha subito una impennata di 30 punti percentuali negli ultimi anni (dati del Fondo Monetario Internazionale). In questo scenario, dunque, è chiaro che i governanti europei abbiano ben pochi margini di manovra e si affidino in gran parte alle capacità salvifiche della Bce e del suo presidente Mario Draghi.

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