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Il "giallo" della curcuma

In Italia adesso tutti si preoccupano della curcuma.

Dopo i 15 casi di epatite colestatica acuta (non infettiva) notificati –nel solo mese di maggio- dall’Istituto superiore di Sanità al Ministero della Salute, in quanto potenzialmente riconducibili al consumo di questa spezia contenuta in alcuni integratori, è scoppiato l'allarme. Federconsumatori ha diramato una nota per chiedere al Ministero di evitare allarmismi e di fare chiarezza non limitandosi, come invece ha fatto, al semplice ritiro di tutta una serie di lotti di integratori sospetti, appartenenti a diverse aziende.

Le indagini sono in corso, ma è probabile che alla base di tutti i casi ci sia la contaminazione di uno stock della materia prima originaria, poi utilizzato per la preparazione di numerosi prodotti.

La diffusione della spezia

Conseguenza, sia pure indiretta, di una diffusione enorme di questa spezia, venduta in una marea di prodotti, di ottima o dubbia qualità a seconda di chi li produce. La mania della curcuma (che si ottiene dalla polverizzazione del rizoma di una pianta perenne conosciuta già 2500 anni fa e utilizzata in Cina e India anche come medicamento) è dilagata negli ultimi anni in un crescendo che, almeno finora, non ha conosciuto crisi: la si trova in integratori, tisane, biscotti, bevande, persino cosmetici.

Solo pochi giorni fa, il New York Times raccontava della nuova tendenza dei cocktail alla curcuma: a quanto pare i bar di lusso degli States offrono nel menu almeno un drink con dentro lo “zafferano d’India”, come viene spesso denominata la curcuma, appartenente alla stessa famiglia del cardamomo e dello zenzero.

Sarà per il suo colore giallo brillante che regala al cocktail il glamour dell’oro zecchino e –in tempi di social a tutti i costi- rende i bicchieri perfetti per raccogliere Like su Instagram o per le tanto decantate virtù antinfiammatorie e antiossidanti?

Il parere dell'esperto

“La moda della curcuma “ spiega il professor Stefano Erzegovesi, psichiatra, nutrizionista all' Ospedale San Raffaele Turro “ricorda un po’ quella dell’avocado di qualche anno fa. Il fatto che un alimento, o un ingrediente venga preceduto dalla sua fama di “superfood”, benefico per molte patologie, anche se ovviamente non curativo, automaticamente spinge le persone a consumarne troppo e male. Quello che è successo in questo caso".

Se molte ricerche scientifiche suggeriscono infatti che la spezia abbia capacità anti infiammatorie e antiossidanti, e possa -forse- aiutare a prevenire l’invecchiamento cerebrale e a rallentare crescita tumorale, non è così auto atico che lo faccia davvero quando la consumiamo:” Per liberare i suoi principi attivi e fare in modo che raggiungano le cellule bersaglio” continua Erzegovesi “deve diventare “biodisponibile”, assimilabile quindi dal nostro organismo e a crudo non lo è assolutamente. Quindi, possiamo affermare che la polvere cruda sciolta negli smoothies, nei frullati o nei cocktail è, in questo, inutile.

Per far davvero bene, la spezia deve essere cotta a lungo, proprio come fanno gli indiani: all’interno di una base di soffritto (perché l’olio la scioglie facilmente) e abbinata ad altre spezie piccanti come il pepe, perché la piperina in esso contenuta accelera l’assorbimento intestinale”.

Superfood sì dunque, con grandi effetti di protezione endoteliale e antiossidante, ma a patto di rispettarne la natura e di consumarla secondo regole molto precise.

Gli integratori alla curcuma

Diverso è, invece, il discorso relativo agli integratori alla curcuma, anch’essi diffusissimi e ora al centro dello scandalo sull’epatite:” Riguardo agli integratori alimentari a base di prodotti che arrivano dall’Oriente, soprattutto da India e Cina, come nel caso di quelli alla curcuma o anche allo zenzero “spiega il professor Enzo Spisni, che dirige il Laboratorio di Fisiologia Traslazionale e Nutrizione del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell' Università di Bologna “c’è un grosso problema di mancati controlli: tutte le radici, infatti, tipicamente accumulano sostanze inquinanti, e se provengono da zone del mondo a scarso controllo di filiera produttiva ecco che poi succedono i disastri”.

Anche perché, in Italia, esiste un vuoto normativo grazie al quale le aziende che producono integratori non sono obbligate a effettuare particolari controlli sulle materie prime, come invece succede nell’industria alimentare:” Paradossalmente, quindi, la radice di curcuma che troviamo in vendita nel reparto ortofrutta del supermercato” conclude Spisni “è più controllata e di conseguenza più sicura di quella che assumiamo via integratore: succede pertanto che una persona decida di prendere integratori per stare meglio, per alleviare dolori articolari o per altro, e poi si ritrovi con un’epatite colestatica.

Peraltro, la curcuma ha anche una bassa emivita in circolo: rimane in circolazione per pochissimo tempo perché viene rapidamente inattivata ed eliminata da fegato e reni . Quindi qualunque effetto terapeutico è comunque piuttosto breve”.
Attenzione quindi, allo zafferano d’India: luccicherà anche come l’oro, ma dietro l’apparenza qualche lato oscuro lo nasconde.

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