In tempi di Covid, cogliamo l'attimo come insegna Orazio

Dopo il successo delle celebrazioni per il Dantedì, Panorama lancia una nuova proposta letteraria. Per affrontare questi tempi incerti, il suggerimento è di aggrapparci al nostro patrimonio culturale. E visto che, come ha scritto il 19 aprile Paolo Rumiz, il verso «è terapeutico come l'amore» e «la bellezza è l'antivirus più efficace», presentiamo sei interpreti della nostra tradizione. L'iniziativa Poesia per r-esistere è realizzata in collaborazione con alcuni docenti di Lettere dei licei Faes di Milano e con il professor Gianni Vacchelli, docente alla Statale di Milano. La quinta puntata è dedicata al poeta dell'«aurea moderazione».

Quinto Orazio Flacco è uno dei principali poeti della letteratura latina che vive e scrive al tempo di Augusto. Il poeta nasce a Venosa (in Basilicata), nel 65 a.C.: il padre è un liberto e piccolo proprietario terriero e investe ogni energia per l'educazione del figlio. La famiglia si trasferisce a Roma, dove Orazio frequenta le scuole migliori e il padre trova l'occupazione di coactor, esattore nelle aste pubbliche.

Orazio ventenne studia ad Atene e si arruola con Bruto e Cassio, combattendo e perdendo a Filippi, nel 42 a.C. Rientrato a Roma, gode dell'amnistia e lavora come scriba, segretario di un questore; inizia a scrivere, però. Paupertas impulit audax ut versus facerem: «la povertà gli diede il coraggio di comporre versi» e i versi piacciono anche a Virgilio, che nel 38 a.C lo presenta a Mecenate. Entrare nel circolo del patrizio promotore degli artisti e dei letterati significa trovare la serenità economica e aderire al progetto politico e culturale di Augusto.

Mecenate per Orazio è patronus e amico sincero. Nel 35 aC pubblica il primo libro delle Satire, nel 30 aC il secondo libro delle Satire e gli Epodi, raccolta delle poesie d'esordio. Dal 30 al 23 aC pubblica le Odi e le Epistulae e nel 17 aC il Carmen Saeculare, celebrazione poetica della nuova era di pace profetizzata dagli oracoli e incarnata da Augusto. Nell'8 aC il poeta, che aveva vissuto tra il Sabinum, Roma e la sua villa a Tivoli, muore a Roma.

Orazio vive e scrive per Mecenate, patronus e amico del poeta. Ci occupiamo in particolare di due raccolte tra le quattro da lui scritte, le Odi e le Satire. Cominciamo dalle Odi e da un concetto particolarmente caro al poeta e particolarmente utile a noi in questo periodo, che è il concetto di aurea mediocritas, cioè la capacità che può avere l'uomo di trasformare in oro le piccole o grandi esperienze della vita quotidiana. Per il poeta, in particolare, il valore dell'amicizia, l'esperienza dell'amore, una buona bottiglia di vino, un focolare sempre acceso, mentre fuori infuria il vento, l'inverno, la neve, il brutto tempo, in generale. Leggiamo quindi la nona poesia del primo libro delle Odi, che possiamo intitolare «A Taliarco», un amico del poeta, il cui nome evoca le gioie del banchetto.

«Lo vedi come si erge alto e bianco per la neve il Soratte, e come ormai le foreste non reggano più il peso della neve, e i fiumi si siano bloccati per l'acuto gelo.

Sciogli il freddo ponendo in abbondanza, più abbondantemente del solito, della legna nel fuoco, e versa dall'anfora sabina, o Taliarco, un vino invecchiato di quattro anni.

E lascia tutto il resto agli dèi: non appena essi hanno placato i venti che infuriano sul mare in tempesta, allora gli alberi si agitano più.

Evita di chiedere che cosa avverrà domani e qualunque giorno la sorte ti darà, consideralo un guadagno, e non disprezzare – ora che sei fanciullo - i dolci amori e le danze, ora che è lontana la vecchiaia noiosa, brontolona.

Ora cerca il campo Marzio e le piazze e i dolci sussurri di notte nell'ora dell'appuntamento;

ora cerca la risata di una fanciulla che si nasconde, e che rivela dove si nasconde da un angolo, e il pegno strappato dalle braccia o da un dito che fa finta di resistere».

(Odi I, 9)

Ora facciamoci consigliare da Orazio, blandus doctor, dolce maestro, che ci vuole proporre una verità, ma una verità con il sorriso, e riprendiamo dalle Satire, in particolare dalla prima.

«Come mai, Mecenate, nessuno è contento del proprio mestiere, che se lo sia scelto o l'abbia avuto dal caso, e invidia chi segue vie diverse? "Che fortunati i mercanti' esclama il vecchio soldato, Con le ossa rotte dalle lunghe fatiche. "Beati i soldati!" risponde il mercante, appena la nave è sbattuta dal vento... Dal cliente svegliato, al primo canto del gallo, l'avvocato invidia la sorte del contadino; questi, strappato dai campi portato in città per qualche cauzione, dichiara che il solo felice è chi vive in città. Se a questa gente un dio dicesse: 'va bene, sono pronto a darvi ciò che volete: tu, eri un soldato e sarai un mercante; tu, fin qui avvocato, ora sarai contadino; si faccia il cambio, voi da una parte, voi dall'altra. Ehi, che succede? Nessuno si muove?' Non se la sentono. E potrebbero essere felici. A questo punto non avrebbe ragione Giove a sdegnarsi, sbuffare e proclamare che d'ora in avanti mai più darà retta ai desideri degli uomini? E' ora però di concludere la farsa bando agli scherzi e parliamo seriamente. Ma che c'è poi di male a dire la verità sorridendo? Talvolta i buoni maestri danno biscotti ai ragazzi per indurli ad imparare l'alfabeto; guarda quello là sfiancato sotto l'aratro, l'oste imbroglione, il soldato, e gli audaci marinai che sfidano le onde; dicono tutti di sobbarcarsi questi disagi per poter ritirarsi da vecchi al meritato riposo, quando avranno messo da parte il necessario per vivere, come fa la formica.... Questa, però, come giunge l'inverno non c'è verso che esca dal buco: saggia, smaltisce quel che ha messo da parte; tu, invece, non ti tolgono dai tuoi traffici nè i bollori dell'estate nè il gelo invernale; non c'è fuoco nè mare nè spada che ti fermi: finchè ci sia un altro più ricco di te».

(Satire I 1, vv. 1-40)

Dagli inverni delle Satire passiamo agli inverni delle Odi, all'inverno della poesia forse più celebre delle Odi di Orazio, Carmina I, 11, Carpe diem, a Leuconoe, una fanciulla dai pensieri ingenui, che si rivolge al poeta, che le risponde:

«Non chiedere - non è lecito saperlo – quale sorte gli dèi abbiano dato a me o a te, Leucònoe, e non provare i calcoli babilonesi. Come sarebbe meglio sopportare qualunque cosa avverrà! Sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni, sia che questo sia l'ultimo che ora sfianca il mare Tirreno sulle opposte scogliere, sii saggia, versa il vino, e, poiché la vita è breve, tronca ogni lunga speranza. Mentre parliamo, sarà già fuggito il tempo, invidioso: cogli l'attimo, per nulla nel domani».

(Odi I 11)

I consigli di Orazio sono quelli di provare a cercare la serenità interiore e di riscoprire il senso delle piccole gioie della vita quotidiana; poi, come consiglia all'amico Tibullo:

«E se vorrai tirarti su il morale, vieni a trovarmi: grassottello, con la pelle lucida, curata, sembro un porcellino del branco di Epicuro».

(Epistulae I 4, 15-16)

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