Consigli di lettura per Anarchici informali

Mentre in Francia si costruiscono prigioni con le pietre della Bastiglia, a casa Bakunin, a 150 miglia a nord-ovest di Mosca, si organizzano picnic, si perdono temperini negli stagni che giovani fanciulle ritrovano e appendono vicino al cuore, e si fa a pezzi l’idealismo per fare posto al materialismo storico.

È il 1833, e per una trentina degli anni a seguire si passa dal credere che:

1) il mondo esiste solo allorché un gabbiano ci caca in testa

2) tutto è necessario, reale, razionale

3) ma manco tanto

4) bisogna cambiare col mondo, non cambiare il mondo.

Michail ha quattro sorelle, giovanissime inquiete intelligenti e pronte al mondo e all’amore, e un padre che possiede terreni e qualche migliaio di anime. Tutto è russo, ma anche inglese, come la maggior parte delle cose belle. Ma vogliate farmi fare un po’ di trama.

Il giovane Bakunin è lo scapestrato di casa: uno scroccone che a fare l’agricoltore non pensa nemmeno ma non riesce a finire gli studi, viaggia tra San Pietroburgo e l’Europa per cercare di capire se abbia più ragione Shelling o Fichte o Kant o infine Hegel, frequenta Herzen e Stankevich, diventa amico di Turgenev, incrocia Marx a Parigi, si veste da bohémien.

KETSCHER … L’intellighenzia!

GRANOVSKIJ Cos’è?

OGAREV Abbastanza orribile.

KETSCHER Sono d’accordo, ma è nostra: è il debutto della Russia nel dizionario.

Il genio che ha scritto questo libro è lo stesso che ha scritto e girato questo film delizioso.

E infatti si vede. Così come in quel film riuscì a:

- rileggere e ricreare

- non teatralizzare a buffo il cinema solo perché tratto da

- dekennethbranaghizzare

Shakespeare (scusa tesoro), e senza stare troppo a spiegare l’importanza dei personaggi secondari nelle tragedie, qui non scimmiotta i russi – non c’è nemmeno un samovar in tutto il libro, un blin con panna acida e caviale, una stufa, un parricidio, non c’è manco il diavolo, per dire – e non ne fa la parodia. Non usa i personaggi per farci ridere (eppure fa molto ridere) o per lustrare il suo narcisismo. Non è interessato a costruire una metafora dell’oggi, benché si capiscano molte più cose sulla politica di oggi dopo averlo letto – un po’ come si capisce perché ancora oggi a cena è meglio non parlare dopo aver visto Mad men.

È invece tutto intriso di ironia, cioè di quella capacità di mettere in relazione, di far toccare, gli opposti (le sponde dell’Utopia), che in questo contatto a volte doloroso o fastidioso si ravvivano a vicenda. Ci sono amici e nemici, ovvio, c’è l’amore che si rivela farsa, frode, illusione e perdita di tempo; ma a lettura terminata si ha come la bella e leggera sensazione che lo spazio del risentimento si sia ristretto, sia stato – quello sì – ridicolizzato, e non dal sarcasmo, o dal cinismo, ma dallo sguardo sorridente e pietoso (in senso classico) del narratore.

Gli attori non sono derisi, la Storia non è canzonata, disprezzata. Non viene decretata, cinicamente, la sua fine, nel fuoco delle barricate o nel cesto ai piedi della ghigliottina.

Non c’è niente di postmoderno nel genio di Stoppard. Ci guida dentro quei 35 anni, e muove i suoi personaggi guidandoli a loro volta verso la – forse deludente, ma umana – conoscenza della propria vita, e del vigore o della fiacchezza del mondo. Li guida nella nostra direzione, fino a farli diventare noi, con chiarezza, cultura, dolcezza.

La cattiva guida, invece, la guida alle malevole intenzioni (come la chiama Jankélévitch in un libro che si chiama, toh:), è interessata alla oscurità, all’incultura; la sua violenta pretesa di guidare il mondo fa smarrire la vittima, e poi l’abbandona nelle tenebre e nella solitudine.

Ps: Così, non così.

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