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Scontri a Elizabethville nel 1960 e nel riquadro Tito Spoglia, viceconsole italiano (Getty Images)
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Congo, 1960: morte di un altro diplomatico italiano

L'indipendenza del Congo dal dominio belga era appena stata dichiarata quando una tra le prime vittime europee a morire durante guerra civile scoppiata nel luglio 1960 fu un diplomatico italiano, il viceconsole Tito Spoglia.
La cornice è quella della città di Elisabethville in Katanga, la capitale della regione meridionale dell'ex colonia belga autoproclamatasi indipendente durante la crisi politica seguita all'indipendenza, la cui popolazione di circa 100.000 abitanti era composta per il 10% da coloni bianchi.
Tra il 9 e il 10 luglio 1960 le truppe ammutinate dell'ex Esercito del Congo di re Leopoldo misero a ferro e fuoco la città, assediando in massa gli europei asserragliati nel proprio quartiere residenziale a difendersi con le poche armi a loro disposizione. La battaglia durò un giorno e una notte, con decine di morti e feriti anche dopo l'intervento di un battaglione di paracadutisti belgi intervenuti per sedare la rivolta.
Il viceconsole Tito Spoglia, trentasettenne di Atina (Frosinone) era in Congo da soli due mesi, alla sua prima missione diplomatica all'estero, destinato alla città meridionale della regione separatista del Katanga per l'assistenza ai circa ottocento italiani (in gran parte piemontesi) residenti soprattutto nel capoluogo Elisabethville. Spoglia, accortosi del precipitare della situazione a causa della rivolta dei katanghesi, si preoccupò di avvisare Roma dell'urgenza di un evacuazione rapida dei residenti italiani. Per poterlo fare, fu costretto a lasciare la città assieme ad altri colleghi europei e a passare il vicino confine con la Rhodesia, in quanto le comunicazioni da Elisabethville erano impraticabili a causa dei disordini. Alle 19:30 di sabato 9 luglio 1960 la Farnesina sentì per l'ultima volta la voce del diplomatico italiano, mentre negli aeroporti delle principali città dell'ex Congo belga la compagnia di bandiera Sabena preparava l'evacuazione dei connazionali. Anche l'Italia, inclusa da pochissimo nella missione internazionale Onu, stava per far decollare i primi due aerei militari destinati al rimpatrio degli Italiani del Congo. Non ci fu il tempo, almeno per il viceconsole italiano, di mettersi in salvo. Le versioni sulla sua morte dichiarate ai quotidiani nei giorni successivi da alcuni testimoni appaiono divergenti. La prima versione dei fatti indicherebbe chela notte tra il 9 e il 10 luglio appena varcato il confine del Katanga nel viaggio di ritorno senza alcuna scorta e a bordo di una vettura non blindata, i sei diplomatici bianchi fossero stati fermati ad un posto di blocco di un piccolo villaggio nelle mani degli ammutinati katanghesi della ex "Force Publique". La tragedia, come nel caso del console Attanasio del febbraio 2021, si sarebbe consumata in pochi, concitati istanti. I sei occupanti la vettura sarebbero stati prelevati di forza e falciati da raffiche di mitra a poca distanza dalla loro vettura, saccheggiata e data in seguito alle fiamme. I corpi del viceconsole italiano e dei i suoi cinque colleghi sarebbero rimasti esanimi sulla strada per Elisabethville poche ore prima dell'intervento decisivo dei parà belgi chiamati dal leader katanghese Ciombe, che avrebbero potuto garantire la sicurezza del rientro. Una seconda versione venne fornita alla stampa italiana da alcuni testimoni, una famiglia di italiani che era riuscita a rifugiarsi nel collegio della città assediata dai ribelli, mentre una delle figlie sarebbe rimasta isolata in una casa alla periferia di Elisabethville. Quando il padre della ragazza dichiarò la volontà di uscire per cercarla, Tito Spoglia si sarebbe volontariamente incaricato della pericolosa missione e, nonappena uscito dall'edificio sotto tiro dei ribelli, sarebbe stato freddato a colpi di mitra dopo aver percorso poche centinaia di metri. A supportare quest'ultima tesi, vale a dire la morte di Spoglia all'interno dell'area urbana di Elisabethville sarebbero le immagini dell'edizione del rotocalco "La Settimana Incom" del 21 luglio successivo, dove i resti della vettura sulla quale viaggiava il diplomatico italiano apparsi brevemente alla fine del servizio televisivo, mostrerebbero l'auto in pieno contesto urbano e non quindi sulla strada tra la città e il confine meridionale.
La moglie del diplomatico riuscirà a salvarsi e ad essere evacuata assieme agli altri concittadini attraverso la Rodesia mentre la salma del marito fu imbarcata sul volo di ritorno dei primi due aerei italiani, i C-119 della 46a Brigata Aerea di Pisa.
I responsabili dell'attentato saranno individuati e condannati a pene detentive dai 3 ai 15 anni di lavori forzati.

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