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Clima esplosivo per l'Iran al voto

 di Shahrzad Shayegan

Alle presidenziali iraniane del 14 giugno il passaggio di poteri non sarà indolore, anzi. La Repubblica Islamica è in crisi su tutti i fronti: isolata dalla comunità internazionale, con spine nel fianco irachene e siriane, è dilaniata da una crisi orizzontale e verticale.

Orizzontale perché lo scontro è fra i vertici. Da una parte c’è il clero conservatore, al potere dalla rivoluzione del 1979; dall’altra ci sono gli uomini che provengono dalle file militari e anticlericali dei pasdaran che fanno leva sul populismo e sull’antiislamismo dilagante. Infine ci sono i riformisti, o ciò che ne resta dopo le contestate elezioni del 2009.

Scontro verticale perché c’è grande pressione dal basso. I cittadini, sistematicamente repressi, imprigionati e logorati dall’inflazione, sono simili a una bomba a orologeria. Basta un nulla e le piazze persiane esplodono.
Sono tre gli schieramenti politici che si contenderanno la delicata carica presidenziale. Per il fronte conservatore, quello vicino alla guida suprema Ali Khamenei, i candidati chiave sono Ali Akbar Velayati, ex ministro degli Esteri fedelissimo dell’ayatollah ma non amato dal popolo; il sindaco di Teheran, Mohammad BagherQalibaf, che piace perché ha saputo amministrare con dignità quel mostruoso agglomerato di 17 milioni di abitanti che è la capitale; Said Jalili, capo della sicurezza nazionale, da 8 anni portavoce in Occidente della questione nucleare; Mohsen Rezaei (che fu però sconfitto nel 2009); e Gholam Ali Haddad-Adel, consuocero del capo, che si è così assicurato i candidati più quotati.

Dal fronte riformista era giunta la candidatura di Ali Akbar Rafsanjani, una delle figure più ambigue e facoltose della Repubblica Islamica. Delfino dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, dal 1979 è stato la figura politica di maggiore
rilievo nell’Iran postrivoluzionario sino al fatidico 2009, anno di rottura con l’establishment a causa del suo appoggio al «movimento verde».

La sua candidatura è stata affondata decapitando le forze riformiste (Hassan Rohani, rimasto in corsa, è figura minore). Il terzo polo, quello populista, è rappresentato dagli uomini vicini al presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, ma il suo consuocero Esfandiar Rahim Mashei è stato escluso.

Comunque vada il 14 giugno, in ballo non vi è solo un mandato presidenziale, ma le fondamenta stesse dell’unica
Repubblica islamica al mondo.

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