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Caso Scattone: un verdetto popolare che fa a cazzotti con la sentenza del giudice

Giovanni Scattone (LaPresse)

di Annalisa Chirico

E dire che l’Italia è la culla dei Carrara e dei Beccaria. Ma come si è ridotto il nostro Belpaese, come ci siamo ridotti noi? C’è una sentenza passata in giudicato; c’è un condannato (per omicidio colposo), che quella sentenza l’ha rispettata. Il fio l’ha scontato. Ha saldato i conti con i tribunali dello stato, ma non con quelli popolari.
Alla fine Scattone ha deciso di rinunciare all’incarico nel liceo, che fu di Marta Russo. Nonostante le preghiere di alunni e genitori: “No, professore, rimanga con noi”. Lui risoluto: “Ritengo non ci siano le condizioni per un sereno svolgimento dell’attività didattica anche e soprattutto nell’interesse degli studenti”.
Scattone ha deciso di farsi da parte, perché a volte il clima diventa irrespirabile, opprimente, e apre certi cassetti, che ti eri illuso di aver chiuso. Di nuovo i titoli di giornale, i servizi tele-comandati, gli opinionisti che si fanno giudici (di quarto grado?). I verdetti popolari, che fanno a cazzotti con le sentenze dei tribunali. Con la legge. Persino con quella Costituzione, che stabilisce la funzione riabilitativa della pena.

Invece no. In Italia resti marchiato a vita. Cori di indignazione, polemica spicciola. Lo scoop lo fa il Fatto Quotidiano, il resto lo cuciono attorno gli alfieri del “politicamente corretto”, gli strateghi della cosiddetta “opportunità”. Poi, se la presunta opportunità calpesta il diritto e i diritti di una persona (che, per inciso, si è sempre proclamata innocente), beh, questo non importa. Bando al manicheismo. Che cosa cianciate? Bisogna andare all’osso. Eccoti l’ennesima vittima. Giustizia ridotta all’osso, barbaramente.

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