Calais
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Campi profughi, quelle città che non esistono

di Marta Pranzetti per LookoutNews

Dalle stragi nel campo profughi siriano di Yarmouk alle emergenze in mare di fronte a Lampedusa. Nel loro comune nefando destino, che li ha portati negli ultimi mesi sotto i riflettori mediatici internazionali, questi due luoghi, Yarmouk e Lampedusa, rappresentano i poli opposti della questione globale dei rifugiati. L’uno in Siria, nato come campo profughi per i palestinesi in fuga dall’aggressione israeliana e più di recente teatro della barbarie dello Stato Islamico; l’altro in Italia, a metà strada tra l’Africa disperata e le porte d’ingresso per l’Europa, nato come centro di accoglienza per gestire i flussi dei migranti dal sud del mondo.

Migranti e proughi a Lampedusa

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Migranti e proughi a Lampedusa

Immigrati soccorsi a Lampedusa da una nave della marina di Malta (Credits: Matthew Mirabelli/AFP/Getty Images)

Migranti e proughi a Lampedusa


Migranti e proughi a Lampedusa

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I militari dell'esercito impegnati nelle operazioni di recupero dei morti del barcone

Migranti e proughi a Lampedusa


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Migranti e proughi a Lampedusa

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Migranti appena sbarcati a Lampedusa e soccorsi dai volontari della Croce Rossa italiana (Credits: Web/CRI/www.cri.it)

Migranti e proughi a Lampedusa

Immigrati sbarcano a Lampedusa (Credits: FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Migranti e proughi a Lampedusa

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I copri delle vittime della strage avvenuta al largo di Lampedusa

Migranti e proughi a Lampedusa

Il Ministro Kyenge al suo arrivo al porto di Lampedusa (Credits: ANSA/ FRANCO LANNINO)



Le cifre del dramma
Con 59,5 milioni di migranti forzati (ripartiti in 19,5 milioni di rifugiati, 38,2 milioni di sfollati interni e 1,8 milioni di richiedenti asilo), il 2014 è stato l’anno con il più alto incremento di persone costrette a fuggire dal proprio Paese mai registrato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). È quanto attesta l’ultimo rapporto, World at War – Global Trends Report 2014, pubblicato il 18 giugno scorso dall’Agenzia dell’ONU. Una drammatica realtà di esuli e senza terra, costretti a fuggire da guerre, persecuzioni e violenze, che appare in vertiginoso aumento (nel 2011 si contavano 51,2 milioni di migranti e 37,5 milioni nel 2005).

Il popolo dei campi
Dalle ricerche di Michel Agier, etnologo e antropologo francese, esperto di dinamiche di globalizzazione-esilio e autore del saggio Un monde de Camps (La Découverte, 2014), si evince che negli almeno 450 campi ufficialmente gestiti da agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR e UNRWA) vive un totale di oltre 6 milioni di rifugiati. Per la maggior parte, questi agglomerati umani determinati dall’emergenza si trovano paradossalmente nei Paesi in via di sviluppo, che ospitano l’86% dei rifugiati totali (per non parlare delle stime ancora più alte di sfollati interni), mentre l’Europa ne ospita complessivamente il 14%.

Immigrati in Grecia

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Immigrati provenienti dall'Afgnaistan in una sistemazione provvisoria sull'isola di Kos, Grecia, 10 agosto 2015

Immigrati in Grecia

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Immigrati in attesa delle procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

Immigrati in Grecia

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Immigrati in attesa delle procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 12 agosto 2015

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Immigrati in attesa delle procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 13 agosto 2015

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Kos, Grecia, immigrati siriani sbarcano sulle coste dell'isola, 13 agosto 2015

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Kos, Grecia, immigrati siriani sbarcano sulle coste dell'isola, 13 agosto 2015

Immigrati in Grecia

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Kos, Grecia, una donna siriana con il suo bambino di 10 mesi appena sbarcata sulle coste dell'isola, 13 agosto 2015

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Kos, Grecia, immigrati siriani sbarcano sulle coste dell'isola, 13 agosto 2015

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Kos, Grecia, immigrati sbarcano sulle coste dell'isola, 13 agosto 2015

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Immigrati in attesa delle procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

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Immigrati in attesa delle procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

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Tensione tra immigrati e polizia allo stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

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Immigrati provenienti dall'Afgnaistan in una sistemazione provvisoria sull'isola di Kos, Grecia, 10 agosto 2015

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Immigrati provenienti dall'Afgnaistan in una sistemazione provvisoria sull'isola di Kos, Grecia, 10 agosto 2015

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La polizia disperde gli immigrati con i lacrimogeni davanti allo stadio di Kos, in Grecia, 11 agosto 2015

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Il pianto di un bambino in attesa delle procedure di registrazione ello stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

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Immigrati in attesa delle procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

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Una donna svenuta durante l'attesa per le procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

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Immigrati in coda per le procedure di registrazione nello stadio di Kos, Grecia, 11 agosto 2015. Gli uomini e le donne sono separati da un divisorio di cartone

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Immigrati all'arrivo sull'isola di Kos, Grecia, 11 agosto 2015

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Immigrati all'arrivo sull'isola di Kos, Grecia, 11 agosto 2015 a


Nelle sue più varie forme, il fenomeno dell’“accampamento” ai margini dello Stato-nazione, a detta di Agier, rappresenta oggi un elemento fondamentale sul piano demografico e sociologico, poiché altera la percezione della frontiera costituendo al contempo una delle “emergenti forme di governance mondiale e di gestione dell’indesiderabile”. Sebbene, di regola, la formazione di un campo per rifugiati o per sfollati risponda a un criterio di emergenza contingente e nasca per gestire una situazione di crisi (dovuta a conflitti o catastrofi naturali), avviene sempre più di frequente che questi agglomerati assumano un carattere di permanenza. Dunque, spesso i campi diventano realtà prolungate nel tempo, perdendo progressivamente la natura di “eccezionalità” e “temporaneità”.

Immigrati a Calais

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Un uomo taglia i capelli a un compagno nel campo profughi sul porto di Calais - 2 agosto 2015

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Migranti a Calais

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Migranti eritrei ed etiopi a Calais in un campo vicino al porto in attesa della messa

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Le scarpe di centinaia di migranti in attesa di cercare di attraversare il confine tra Francia e Gran Bretagna

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Un uomo accende un certo durante il rito ortodosso a Calais

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Il prete ortodosso Kibrom Kasta prepara la messa cui assisteranno i migranti eritrei a Calais

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Un uomo prega in un campo profughi vicino al porto di Calais, in Francia

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Una donna prega in un campo profughi vicino al porto di Calais, in Francia

Immigrati a Calais

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Calais, Francia: sono migliaia i migranti ogni giorno che cercano di raggiungere l'Inghilterra tramite il canale della Manica

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Migranti si distraggono giocando a calcio nel campo di Calais

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Migranti a Calais

Immigrati a Calais

CALAIS, FRANCE - AUGUST 03: Police direct men away from the Eurotunnel terminal in Coquelles on August 3, 2015 in Calais, France. Hundreds of migrants are continuing to attempt to enter the Channel Tunnel and onto trains heading to the United Kingdom. (Photo by Rob Stothard/Getty Images)

Immigrati a Calais

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Un anziano immigrato a Calais

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Controlli di polizia vicino al porto di Calais

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Controlli di polizia a Calais

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Migranti camminano vicino all'imbocco dell'Eurotunnel a Coquelle vicino al porto di Calais

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"La Francia è vita da cani", "L'inghilterra è buona vita", si legge sui muri del porto di Calais - 1 agosto 2015

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Etiopi e Eritrei assistono la celebrazione della messa ortodossa nel campo profughi vicino al porto di Calais - 2 agosto 2015

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Un uomo prega durante la celebrazione della messa ortodossa nel campo profughi vicino al porto di Calais - 2 agosto 2015

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Le scarpe di un gruppo di profughi nel campo vicino al porto di Calais

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Etiopi e Eritrei assistono la celebrazione della messa ortodossa nel campo profughi vicino al porto di Calais - 2 agosto 2015

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Un uomo sudanese si guarda in un pezzo di specchio rotto nel campo profughi vicino al porto di Calais

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Alba sul campo dei migranti sul porto di Calais

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Calais, controlli di polizia

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Migranti a Calais

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Migranti a Calais


Partire senza tornare

La dinamica dell’esilio-ritorno, descritta come i due moti contrapposti legati al fenomeno dei campi, non appare quindi realistica. A ogni partenza, infatti, non corrisponde un rientro. E anzi, la tendenza evidenziata nel Global Trends Report attesta piuttosto l’affermazione della dinamica del non-ritorno. Nel 2014, solo 126.800 rifugiati hanno potuto fare rientro in patria rispetto agli oltre 500mila del 2011, complice il peggioramento delle condizioni di sicurezza globali. Negli ultimi cinque anni, inoltre, sono scoppiati o si sono riattivati almeno 15 conflitti nel mondo, che costituiscono la sorgente primaria degli esodi di massa, destinati ad affollare periferie e forzare le frontiere con il rischio di rappresentare una sorta di “invasione”.


Maggiore sedentarietà
La precarietà che è tipica della vita nei campi, con il tempo lascia pertanto il posto a soluzioni di sempre maggiore sedentarietà, sia in senso urbanistico che “affettivo”. Questa forma diffusa di “normalizzazione dell’emergenza” non si accompagna, però, a una conseguente regolarizzazione legale e amministrativa. Ragion per cui i campi rimangono caratterizzati dagli intrinseci elementi di extra-territorialità: sia dal punto di vista geografico che di esclusione sociale e di eccezionalità giuridica.

È in questo modo che i campi, da non-luoghi diventano progressivamente centri di una nuova società che, seppure relegata ai margini della collettività e dall’esistenza costantemente incerta, desidera sopravvivere. Spesso questi luoghi d’incessante attesa, di relegazione e di disumanizzazione, con la forza di volontà e della disperazione (e con l’aiuto di coraggiosi volontari da ogni parte del mondo) diventano luoghi di vita, di risocializzazione e a volte di agitazione politica. Mentre dal punto di vista architettonico, con lo scorrere del tempo, cresce il fenomeno dell’urbanizzazione permanente dei campi.


Questioni di termini

I campi per rifugiati (o campi profughi) sono il prodotto dello sconquasso causato da due conflitti mondiali e dallo sregolamento internazionale nel post-guerra fredda, unitamente alla difficoltà di far fronte ai disastri politici, ecologici ed economici del Diciannovesimo secolo. Lo status di rifugiato è stato giuridicamente chiarito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e poi dal Protocollo di New York del 1967. Per definizione, il termine “rifugiato” si riferisce a quella categoria di persone fuggite da guerre o persecuzioni o espulse dal proprio Paese per discriminazioni politiche, religiose o razziali, che trovano appunto rifugio in un altro Stato. A differenza del concetto di “profugo” – un termine generico usato per indicare chi è costretto ad abbandonare il proprio Paese in seguito a un conflitto – il riconoscimento dello status di rifugiato è frutto del riconoscimento di asilo politico e dunque di protezione da parte del Paese ospitante.
A differenza dei campi per rifugiati, i campi per sfollati (IDPs) rimangono all’interno della giurisdizione nazionale e dei confini territoriali del Paese di origine, a prescindere dalle cause che spingono le popolazioni all’esodo di massa (per lo più disastri ambientali ma anche violenze, conflitti o violazioni dei diritti umani). Pertanto, lo status effettivo degli sfollati (in mancanza di una definizione legale univoca) rimane quello di cittadini dello Stato in questione. Il mandato originario dell’UNHCR non copriva questa categoria di emergenza, sebbene la contingenza degli eventi abbia fatto sì che l’Agenzia oggi collabori nell’amministrazione di questa tipologia di campi.

Accampamenti clandestini

In alcuni Paesi e in alcune società è poi possibile riscontrare alcune forme di accampamento più o meno clandestine e più o meno regolamentate dallo Stato ospite. È il caso dei Rom in Italia e Francia o dei lavoratori migranti nei Paesi del Golfo, che vengono confinati in veri e propri campi-dormitorio che ne indicano lo status di subalternità. Esistono, infine, quelli che vengono definiti in base ai Paesi (o addirittura ai governi che li decretano) centri di accoglienza o centri di detenzione amministrativa o ancora centri di espulsione che proliferano sempre più massicciamente lungo la frontiera del “nord del mondo” (USA, UE, Giappone e Australia). Si tratta di soluzioni amministrative temporanee volte a gestire i flussi migratori dei disperati provenienti dal “sud del mondo”. Degli oltre mille esistenti, almeno 400 sono concentrati in Europa e contano un turn-over di oltre 500mila persone che vi transitano all’anno.

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