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Caccia in laguna con Hemingway

Caccia in laguna con Hemingway

Un luogo magico vicino a Venezia che ha dato al grande scrittore attimi di felicità e la materia per un romanzo. Oggi, tra cimeli
e memoria, nella valle San Gaetano a Caorle si rivivono le stesse atmosfere che settant’anni fa conquistarono «Mr Papa».


Una laguna incontaminata, un paesaggio verde, fiabesco, in cui volano alti nel cielo i germani reali che avevano incantato Ernest Hemingway, quando lo scrittore veniva in Veneto per le sue battute di caccia negli anni Cinquanta. Tra questi canneti, ancora oggi, trovano rifugio cigni, aironi, anatre di superficie e quelle tuffatrici che colorano lo specchio d’acqua a cui «Mr Papa» – come l’amico e artista Gerald Murphy aveva soprannominato il futuro premio Nobel dopo i suoi primi viaggi in Spagna – ha poi dedicato alcune delle pagine più belle del romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi uscito in America nel 1950, in Italia nel 1965.

Siamo in valle San Gaetano, la frazione più piccola, ma certamente la più suggestiva dell’isola di Caorle. Un territorio dai nobili trascorsi storici, legati alla presenza dei baroni Franchetti che avevano scelto questo sperduto angolo della laguna di Venezia per farne il cuore di un vasto centro agricolo. A dominare la valle c’è quella che è stata la casa di caccia dove soggiornava Hemingway: una struttura di colore rosso che si affaccia sul bacino della laguna, a pochi passi dalla cavana, la rimessa per le imbarcazioni, ancora approdo per quelle usate nella pesca e nella caccia in Valle Grande.

Dentro l’abitazione, in quella che per lunghi anni è stata rifugio dei cacciatori accolti dai Franchetti – riparo rigorosamente non accessibile alle donne – il tempo sembra essersi fermato: gli arredi dell’Ottocento, un imponente orso imbalsamato indica le scale per raggiungere il piano superiore. Tutt’intorno fotografie di safari e trofei di caccia che hanno visto protagonisti i rampolli di Raimondo Franchetti, uno tra i più importanti esploratori del XX secolo, soprattutto per quanto riguarda l’Africa, il continente che è stato d’elezione anche per Hemingway, frequentato prima con Pauline Pfeiffer, la seconda moglie, poi con Mary Welsh, inviata delle riviste Time e Life, la quarta moglie.

Hemingway il macho, Ernest l’avventuriero, Papa lo scrittore. Già, Papa era il nome degli affetti, come chiamavano tutti i suoi figli e con cui lui stesso firmava le sue lettere indirizzate a loro. Ma Papa identifica, soprattutto, un uomo che sull’isola di Caorle rappresenta ancora oggi, a distanza di tanti decenni e di nuove verità, forza, passione, coraggio e libertà. L’amore per la caccia e la pesca, come quello della vita e poi delle donne, dell’avventura e del Veneto che lo aveva visto giovane volontario della Croce rossa americana durante la Prima guerra mondiale, poco distante da San Gaetano, precisamente a Fossalta di Piave dove, l’8 luglio 1918, era stato gravemente ferito a un ginocchio da una granata lanciata dagli austriaci.

Di quel conflitto, della guerra di Hemingway, la casa di caccia a Caorle è piena di testimonianze, in particolare di fotografie che ritraggono Raimondo Franchetti partito, all’inizio delle ostilità, volontario. Scatti custoditi nello studio accanto alla camera da letto che ospitava lo scrittore dove, da qualche mese, su uno scrittoio in legno di ciliegio, c’è un registro di caccia, un diario in cui con bella calligrafia sono stati annotati i nomi dei partecipanti alle battute, il loro posizionamento nelle botti e, soprattutto, le specie di volatili catturate. Un registro affiorato inaspettatamente tra la polvere che ricopriva un vecchio armadio abbandonato nell’angolo di un silos decadente, un tempo utilizzato per la raccolta del mais e di altri cereali della tenuta Franchetti.

Tra i cacciatori, nel registro che riporta gli anni dal 1948 al 1952, spicca appunto il nome di Ernest Hemingway. In Veneto, oltre che a questo buen ritiro venatorio, il premio Nobel ha legato il suo nome all’Harry’s bar di Venezia e alla Locanda Cipriani, mete abituali di una geografia del cuore che ha accompagnato Papa per tutta la vita. La moglie Mary aveva raccontato che la sera prima di morire, per sua volontà e imbracciando per l’ultima volta un fucile, Hemingway aveva cantato con lei una canzone imparata molti anni prima proprio in Veneto «Tutti mi chiamano bionda, ma bionda io non sono». A insegnargliela era stata Fernanda Pivano, amica di sempre e traduttrice italiana di tutta l’opera letteraria di Papa.

Un destino drammatico quello di Hemingway che era stato esorcizzato almeno per un periodo – dopo un lungo digiuno di scrittura durato circa dieci anni – proprio a Caorle. Qui, in un angolo sperduto del mondo, eppure frizzante e vivace negli anni Cinquanta, quando calamitava personaggi del jet set americano e favoriva straordinari incroci: ecco allora che assieme a Papa era di casa l’attore Henry Fonda, sposato in quarte nozze proprio con una Franchetti nella cappella dell’abitazione padronale di San Gaetano, poco distante dalla casa di caccia, oggi di proprietà della famiglia Poja, dove vengono custoditi i cimeli appartenuti a Hemingway e restaurati dalla Vitale Onlus; e che annualmente, in occasione del Premio giornalistico Papa Ernest Hemingway che si svolge nel mese di luglio a Caorle, vengono messi in mostra.

Si tratta della macchina per scrivere Remington, con cui Papa aveva lavorato a Di là dal fiume e tra gli alberi. E ancora: il binocolo con cui osservata le anatre alzarsi in volo sul lago del Tombolo, la borraccia usata nelle battute di caccia in Valle Grande, un calamaio con boccetta d’inchiostro e pennini utilizzati per la corrispondenza, il fodero del fucile da caccia e gli zoccoli che il romanziere usava indossare al suo rientro dopo le battute. C’è anche il pettine che lo scrittore teneva sempre nel taschino della giacca, alcuni sigari cubani Montecristo che amava fumare. E due spazzolini, perché Papa teneva moltissimo all’igiene dei denti.

A Caorle Hemingway pensava di aver trovato quello che, invano, aveva sempre cercato nel suo girovagare per il mondo: la felicità e l’amore espressi nel gioioso rapporto con Adriana Ivancich, la giovane veneziana protagonista nelle pagine del suo libro. È proprio all’interno di questa relazione d’affetto con la giovane che lo scrittore, nella finzione letteraria un colonnello dell’esercito americano, offre un tributo memorabile alla laguna dell’isola di Caorle, descrivendone i luoghi, i paesaggi e le atmosfere: «Quattro barche risalivano il canale principale verso la grande laguna a nord… Spuntò l’alba prima che giungessero alla botte di doghe di quercia immersa nel fondo della laguna… il cacciatore…scese nella botte e il barcaiolo gli porse i due fucili… Ora c’era più luce e il cacciatore… riuscì a vedere il contorno basso della punta di là della laguna… più oltre c’era ancora palude e infine il mare aperto…».

Sono i momenti più belli della vita per Hemingway, quelli che lo scrittore vive in questo paesaggio magico, in queste solitudini dove la voce umana viene appena sussurrata. E dove il mondo e i suoi rumori diventano lontani, la quiete assume dimensioni nitide e leggere. Leggere, appunto, come il volo dei germani reali che tracciano eleganti il cielo della laguna, un paesaggio unico per ritrovare l’autenticità della natura.

San Gaetano vanta origini antichissime: nel 1994 è stato scoperto un esteso sito paleoveneto risalente alla tarda età del bronzo, che è stato studiato dalla Soprintendenza ai Beni archeologici del Veneto. Anche se oggi rimane primaria l’agricoltura praticata dalle famiglie caorlotte – che dalla condizione di mezzadria sono passate alla conduzione diretta dei fondi – a San Gaetano protagonista è sempre la caccia. Con la sua dimensione di attesa e con gli appostamenti che conciliano riflessione e fluire di memoria.

Eppure la caccia, come bene testimoniano libri e racconti di Hemingway, è anche combattimento e morte; e per Papa in Veneto è deterioramento del fisico con i leggendari «Papa Double drink» bevuti al banco dell’Harry’s bar e le innumerevoli bottiglie di Valpolicella che si accumulavano nelle stanze del Gritti Palace Hotel.

Liquori e vino, infatti, sono stati per una vita intera compagni e, allo stesso tempo, nemici silenziosi e assidui che hanno contribuito ad alleggerire le difficoltà di un uomo, un narratore, che aveva vissuto gli orrori delle guerre, prima da «combattente» poi da giornalista. Per lui, che aveva subito anche l’elettroshock per ritrovare un equilibrio emotivo, quel breve stordimento provocato dall’alcol è stato a volte scambiato per un lampo di serenità. Ma è grazie all’amore per quella giovane musa veneziana conosciuta alla casa di caccia a San Gaetano che Papa è riuscito ad aggrapparsi, almeno per un attimo, a una felicità concreta, uno stato di benessere alimentato da ricordi che gli hanno consentito di attraversare altri momenti bui della vita. Caorle, dunque, come un faro sentimentale, un’ancora nel malessere, uno squarcio d’amore contro quello che definiva «il nada», il nulla.

Il tempo e i luoghi, nelle vite, hanno destini spesso circolari. Così John Hemingway, figlio di Gregory e nipote di Ernest, visitando i luoghi veneti dove il suo illustre antenato aveva ritrovato la voglia di vivere, ha scelto di scavare nel profondo e dedicare un libro alla dinastia degli Hemingway dal titolo Una strana tribù. Memorie di famiglia (edizioni Marlin), mostrando immagini a volte scomode ma sempre vere, che fanno riflettere e testimoniano come, a distanza di tempo, si possa sempre riuscire a spezzare le catene più pesanti.

È un volume intenso in cui John racconta anche dell’Africa, di quella terra così amata dal nonno scrittore, proprio per la forza della natura; quella che Papa ha riscoperto – e oggi ancora si rivive – nella casa di caccia a San Gaetano.

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