La farsa di Brasile-Argentina che condanna la Fifa

Se serviva uno spot al contrario per la decisione della Fifa di sfidare i club e imporre la sosta sempre e comunque, anche in tempo di Covid, per di più con calendario appesantito dai recuperi delle qualificazioni mondiali, il piatto è servito. La farsa di Brasile-Argentina, sfida interrotta dopo pochi minuti per l'intervento in campo di polizia e autorità sanitarie locali, a caccia di argentini che avrebbero violato le norme di quarantena perché provenienti dal Regno Unito senza dichiararlo, è stata la conferma di come il calcio mondiale sia incapace di darsi regole e farle rispettare. Il tutto mentre la Fifa sogna di imporre al sistema il Mondiale ogni due anni e sullo sfondo c'è una guerra di soldi e potere che divide in vari schieramenti la Fifa stessa, la Uefa che protegge le proprie galline dalle uova d'oro (Champions League in testa) e le società e leghe che alla fine sono quelle che pagano per tutti.



Un cortocircuito impossibile da riportare alla ragione fino a quando i protagonisti non decideranno di fare un passo indietro, provando a ragionare di sistema e non ciascuno nel proprio interesse. Questa sosta per le nazionali era stata preceduta da polemiche, veti e minacce incrociate a causa della decisione unilaterale della Fifa di allungare il periodo di rilascio in Sudamerica infilando una terza partita a ridosso della ripresa dei campionati in Europa. Con l'aggravante di portare le gare in paesi ad alto rischio contagio e con regole di quarantena, in ingresso e uscita, incompatibili con l'attività delle stelle del pallone e dei loro datori di lavoro, cioè i club che li stipendiano e rischiano di non poterli schierare.

Che potesse uscirne un casino (nel senso di 'piccolo caso') era ampiamente prevedibile. Alcune squadre inglesi si sono rifiutate di far partire i propri campionai e teoricamente dovranno essere sanzionate. Altre lo hanno minacciato e poi si sono piegate al diktat della Fifa e lo stesso è accaduto in Italia e Spagna. Lo spettacolo di San Paolo, gli agenti a caccia di giocatori, la trattativa di Neymar e Messi, l'imbarazzante finale che ora diventa un problema anche di giustizia sportiva, conferma che aveva ragione chi ha tenuto a casa i giocatori.

Il presidente della Fifa, Gianni Infantino, nei minuti in cui si consumava la farsa brasiliana era a Basilea ad assistere a Svizzera-Italia, in compagnia del numero uno della Figc, Gabriele Gravina. Chissà cosa ha pensato ricevendo la notizia del blitz in campo e chissà con quale forza potrà ora imporre sanzioni ai club ribelli. O riproporre tra un mese l'obbligo di rilascio alle stesse condizioni. Una figuraccia totale che indebolisce l'intero sistema, ridotto ormai a un campo di battaglia tra interessi contrapposti. In questo clima la vicenda della Superlega, nata e morta in 48 ore ad aprile, rischia di essere solo l'antipasto della guerra dei mondi: un confronto in cui è difficile dividere i buoni dai cattivi ma è certo che da una parte c'è chi paga e dall'altra chi riveste tanti ruoli della commedia. Regolatore, promotore, organizzatore e organo sanzionatorio: davvero troppo per immaginare che lo schema possa ripetersi in eterno senza che qualcuno non si opponga.

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