Bankitalia, meno poteri, stessi stipendi

Ignazio Visco ha un amico: Mario Draghi. E basta. Non che gli altri siano nemici, assomigliano piuttosto a quei conoscenti che si fanno vivi solo il giorno del compleanno, come i presidenti e gli amministratori delle banche che lo vanno a trovare solo il giorno delle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, o quando hanno bisogno di un piacere, come Matteo Renzi, che nel decreto Irpef ha posto un tetto agli stipendi dei dipendenti di Palazzo Koch per racimolare un po’ di milioni. E l’unico che lo ha difeso dal possibile taglio fino al limite massimo di 240 mila euro agli stipendi è stato, appunto, Mario Draghi, suo predecessore. E pare sia servito: il governo ha mantenuto solo un’indicazione «di indirizzo», ma nessun taglio vero e proprio. Per il resto dell’anno i rapporti tra i banchieri e il governatore si limitano al buongiorno e buonasera.

Con l’adozione dell’euro Bankitalia ha perso la maggior parte delle sue competenze e a ottobre, quando la vigilanza sulle grandi banche passerà alla Banca centrale europea, gli ispettori risponderanno a Draghi e non più a Visco il quale manterrà il potere di monitorare solo gli istituti più piccoli. Ciò ha provocato il crollo verticale di quel potere informale che va sotto il nome di moral suasion e che si concretizza in suggerimenti, ufficiali o ufficiosi, alle banche. Visco ha provato a spingere la poco performante (eufemismo) Banca dell’Etruria tra le braccia della Popolare di Vicenza che ha effettivamente lanciato un’Opa in contanti, che però il consiglio di amministrazione della banca toscana ha respinto quasi offeso. Ha anche chiesto alla Popolare di Milano di trasformarsi in società per azioni, abbandonando il voto capitario per diventare un’azienda contendibile, ma per ben due volte l’assemblea dei soci ha rispedito al mittente la richiesta, concedendo a Visco solo alcune trascurabili modifiche allo statuto.

Ha anche chiesto a Intesa Sanpaolo di abolire il sistema di governance duale, ma il presidente del consiglio di sorveglianza, Giovanni Bazoli, ha fatto finta di niente. E Mps? Dopo aver autorizzato formalmente la Fondazione a sottoscrivere un patto di sindacato con investitori sudamericani per continuare a contare nella banca, nelle ultime Considerazioni finali ha detto che è bene che le Fondazioni non sottoscrivano patti di sindacato. La coerenza zoppica, ma gli stipendi sono salvi. 

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