Banca Carige, perché gli azionisti non trovano pace

Da anni Banca Carige è sorvegliata speciale della Bce, e da anni procede attraverso strappi nella sua governance. Con tre aumenti di capitale e ancora contestazioni da Francoforte, perché i requisiti di patrimonializzazione non sono raggiunti. Ma, soprattutto, un azionista forte e caparbio, Vittorio Malacalza, che dal 2015 ha messo in successive tornate circa 380 milioni con minusvalenze per oltre il 75 per cento. Un azionista che per carattere oltre che per soldi spesi vuole essere lui a fare la scelta finale dovuta entro il 2019: cioè a chi far sposare la banca.

Meriti e difetti di Paolo Fiorentino

Per questo Malacalza ha silurato due amministratori delegati, prima Piero Montani, poi Giovanni Bastianini, e da mesi ha nel mirino l'attuale, Paolo Fiorentino, chiamato da Malacalza nell'estate 2017 dopo 36 anni tra Credito Italiano e Unicredit. Fiorentino ha dei meriti: la banca nel primo trimestre 2018 è tornata a un utile sia pure pro forma, le spese per il personale e quelle amministrative sono scese. E i crediti deteriorati lordi risultano a 4,7 miliardi, stabili sui livelli di dicembre 2017.

Ma agli occhi di Malacalza ha anche dei difetti, Fiorentino, almeno tre. Troppo autonomo nella sua operatività. Troppo fiducioso di essere lui l'uomo dagli indiscussi meriti operativi di cui la Bce penserà di non voler fare a meno. E soprattutto la tentazione, per accerchiare Malacalza che in tasca ha già l'autorizzazione per salire dal 21 fino al 28 per cento, di allearsi con gli altri azionisti interessati a crescere e comandare. Cioè con Raffaele Mincione, il finanziere con base a Londra che ha quasi il 6 per cento con l'idea di crescere almeno fino al 10, oltre che con Gabriele Volpi e Aldo Spinelli. Ed è per questo malcelato sospetto che più volte ha fatto capolino l'idea di convocare un'assemblea e verificare se gli anti Malacalza possano contare sull'intervento di fondi esteri per tentare la scalata.

Assemblea che dovrebbe a questo punto essere decisa dal cda del 3 agosto, e convocata per settembre. All'assemblea i voti si conteranno. Ma resterà la necessità di una nuova operazione per rafforzare subito il capitale, visto che l'emissione di un bond subordinato per 250 milioni è fallita. E si riproporrà il problema: con chi sposarsi?

Con chi si sposerà Banca Carige?

Il matrimonio va celebrato prima che Draghi vada via dalla Bce, cioè entro l'anno prossimo. Esattamente come per Mps. La politica genovese conta ormai zero sul futuro di Carige, dopo aver taciuto per anni sulle malversazioni di Berneschi. Quella nazionale invece si ricorderà di avere in mano il 5,4 del capitale di Carige, attraverso la Sga che è una società del Tesoro che ha rilevato le quote inoptate degli aumenti di capitale.

Il vecchio progetto di anni fa, unire Carige al Banco Popolare e a Mps per farne il terzo polo bancario italiano, sembra tramontato. E cosa pensi davvero su questo Malacalza, nessuno l'ha mai capito. Molti scommettono pensi ancora a una Carige che resti sola. Un azzardo però, visto che è ancora lontana da costi, raccolta e redditività tale da farla ritenere solidamente capace di affrontare una nuova possibile crisi del rischio sovranoe bancario nel nostro Paese. Scommettiamo che la politica romana farà toc toc alla porta di chi vince l'assemblea a settembre?


(Articolo pubblicato sul n° 32 di Panorama in edicola dal 2 agosto 2018 con il titolo "Gli azionisti di Banca Carige non trovano pace ma la politica romana a settembre busserà alla porta dei vincitori")


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