Auto, ecco perché Marchionne critica Bruxelles

A cosa si riferiva Sergio Marchionne quando, dal palco del Festival dell’Economia di Trento, ha attaccato “l’attendismo” di Bruxelles in campo automobilistico? Non è la prima volta che lo fa e ogni volta si riferisce al fatto che in Europa, più che in altre parti del mondo, esiste una sovracapacità produttiva spevantosa: si producono troppe auto rispetto a quante se ne vendono. Nel 2013 le auto acquistate dagli europei sono state 11.850.905 rispetto alle circa 15 prodtte (dato del 2012). E’ un problema. Un grosso problema. Perché obbliga i produttori ad una devastante (per i conti aziendali) guerra dei prezzi o, in alternativa, costringe ogni singolo Stato a sostenere le proprie industrie per evitare che chiudano fabbriche e licenzino dipendenti. Questa seconda strada è stata intrapresa soprattutto da quegli Stati che hanno case costruttrici “nazionali” come, ad esempio, la Francia e l’Italia. In Francia lo Stato è entrato nella proprietà della Psa (Peugeot-Citroen) insieme ai cinesi della Dongfeng, mentre in Italia è stata varata una mini-rottamazione che, però, è un palliativo. Soprattutto per la Fiat il problema della guerra dei prezzi resta.

Di fronte a questo rischio Marchionne, criticando l’”attendismo” comunitario chiede, in pratica, che si decida a livello comunitario un “disarmo multilaterale” che riduca gli impianti produttivi delle società continentali in cambio di aiuti pubblici alle imprese che devono ristrutturarsi. Una cosa del genere avvenne negli Anni ’90 quando l’Europa decise la riduzione programmata della produzione di acciaio. In quel caso ogni industria che decideva di ridurre la quantità di prodotto messo sul mercato otteneva da Bruxelles un aiuto economico. Marchionne pensa più o meno a un’operazione dello stesso genere.

In realtà, però, la riduzione di capacità produttiva in Europa è già stata avviata. Tra il 2011 e il 2014 la General Motors ha ridotto la propria capacità produttiva in Europa del 30% e la Ford del 33%. Si tratta di produttori “extracomunitari” meno sottoposti alle pressioni dei governi locali, che possono decidere con meno vincoli politici delle proprie fabbriche. E questo è certamente vero. Però, nello stesso periodo, anche la stessa Psa ha tagliato del 17% la propria produzione e la Renault lo ha fatto per un altro 10% mentre altre aziende hanno tagliato del 9%. La Fiat, invece, ha tagliato di appena l’1% (fonte: Isi Research-Wall Street Journal). Come mai così poco, considerando anche il fatto che nel 2013 la sola Fiat ha perso 911 milioni? Da una parte Marchionne aveva bisogno di “essere grosso” nel momento in cui stava trattando la fusione con la Chrysler, che si realizzerà entro la fine dell’anno e, dall’altra, chiudere le fabbriche gli costa più che tenerle aperte. Se chiudesse uno degli stabilimenti, cioè, dovrebbe sostenere dei costi che, ora, di fronte a un bilancio così precario, non può permettersi. Per questo chiede che Bruxelles sia meno “attendista”, che è un modo elegante per chiedere aiuti di Stato.

Peraltro si tratta di una contraddizione rispetto a quello che lo stesso Marchionne ha sostenuto nel corso della presentazione del piano industriale Fca (Fiat-Chrysler) all’inizio di maggio a Detroit e ribadito successivamente: tutti i dipendenti italiani torneranno al lavoro e non ci saranno esuberi. Ma se non ci saranno esuberi, perché chiede a Bruxelles di essere meno “attendista” e di aiutarlo a chiudere impianti? E che cosa succederà quando gli diranno di no?

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