Apple e l’accusa di elusione fiscale: i quattro punti da chiarire

Onori e oneri. Le grandi multinazionali dell’hi-tech saranno pure fra le aziende più ricche del pianeta ma questo fa di loro le sorvegliate speciali dei grandi apparati per la riscossione delle tasse. L’ultimo caso riguarda Apple, oggetto di un rapporto di 40 pagine firmato dalla Sottocommissione permanente del Senato americano. Nel mirino delle Autorità - scrive il Wall Street Journal - ci sarebbero tasse non pagate o pagate in misura ridotta su 74 miliardi di dollari incassati nel quadriennio 2009-2012.

Ad Apple, è bene precisarlo, non viene contestata alcuna pratica illegale, i legislatori che seguono l’inchiesta criticano piuttosto la condotta fiscale di Cupertino. "Vi è un termine tecnico che gli economisti amano usare per definire comportamenti come questi", ha detto Edward Kleinbard, professore di diritto presso la University of Southern California a Los Angeles ed ex direttore del personale presso il comitato misto del Congresso sulla tassazione: "un'incredibile faccia tosta".

Ben più duro il commento del senatore Carl Levin, presidente della Sottocommissione permanente sulle indagini. "Ciò che intendiamo fare è evidenziare gli espedienti e le altre tattiche di elusione off-shore di Apple in modo che le famiglie di lavoratori americani, che pagano la loro quota di tasse, capiscano in che modo certe scappatoie fiscali offshore alzino la pressione fiscale e quanto influiscano sul deficit federale".

Ma cosa viene contestato nello specifico alla società di Tim Cooks? Sono sostanzialmente quattro i punti sui quali verte l’indagine:

1. Apple avrebbe sottratto alla portata dell'Internal Revenue Service (Irs), l'Agenzia delle Entrate americane, almeno 74 miliardi di dollari fra il 2009 e il 2012

2. Apple Operations International, la holding principale che gestisce il business di Apple al di fuori delle Americhe (con sede in Irlanda), non avrebbe pagato alcuna imposta sul reddito delle società di qualsiasi governo nazionale nel periodo fra il 2009 e il 2012, nonostante la segnalazione di reddito netto di 30 miliardi di euro.

3. Nel 2011, Apple Sales International, un'altra unità di Apple con sede in Irlanda e deputata alla vendita di iPhone, iPad, MacBook e altri prodotti a distributori esteri, ha registrato 22 miliardi di dollari di utile ante imposte, ma ha pagato solo 10 milioni in tasse.

4. Una terza filiale della Mela, Apple Operations Europe, ha fatto in modo che i suoi profitti non fossero tassabili da qualsiasi paese.

L’indagine punta il dito in modo particolare sulla natura ambigua delle filiali di Apple fuori dai confini nazionali che sfrutterebbero le pieghe delle normative locali per detassare i propri patrimoni. Alcune delle filiali di Apple - pur risultando effettivamente allocate in Paesi stranieri - non hanno infatti dipendenti e sono gestite da top manager da Cupertino. Per la legge statunitense, lo ricordiamo, le aziende devono pagare le tasse nel Paese in cui sono residenti, ovvero laddove vengono incorporate; d’altro canto, in Paesi come l’Irlanda una società può essere considerata residente solo se è gestita e controllata in loco. Ed è per questo - secondo gli investigatori - che Apple è riuscita a risultare "senza stato", evitando così il pagamento delle imposte.

Tim Cook sarà chiamato a chiarire dinnanzi al congresso di Washinton i meccanismi di tale sistema contributivo ma i punti cardine della difesa di Apple sono già ben definiti nello statement pubblicato oggi dalla società sul suo sito.

"Apple - si legge nel documento - non ricorre a espedienti fiscali, non sposta la sua proprietà intellettuale in paradisi fiscali offshore né la usa per vendere i prodotti negli Stati Uniti al fine di evadere le tasse in patria;non fa uso di prestiti rotativi, di controllate estere per finanziare le sue operazioni nazionali, non conserva denaro su un’isola dei Caraibi, né dispone di un conto bancario presso le Isole Cayman. […] Apple paga una straordinaria quantità di tasse negli Stati Uniti ed è probabilmente il più grande contribuente negli Stati Uniti, avendo pagato 6 miliardi di dollari di tasse al Tesoro nell’anno fiscale 2012. Un flusso di cassa effettivo pari a circa il 30,5% (dei propri introiti).

Va detto che altre società di grosso calibro sono finite nei mesi scorsi sotto la lente d’ingrandimento della Commissione del Senato. Lo scorso anno, ad esempio, sia HP che Microsoft sono state indagate per ragioni simili e nella fattispecie per i flussi di denaro e lo spostamento della proprietà intellettuale (e dei relativi introiti) verso sussidiarie estere site in paesi a basso livello contributivo (Irlanda, Singapore e Porto Rico). Esami che non hanno comunque comportato modifiche significative sulle pratiche delle società né sulle leggi statunitensi.

Nel frattempo il ministro irlandese degli Affari europei Lucinda Creighton, ha negato in modo categorico l’esistenza di qualsiasi accordo sottobanco che preveda sgravi ad hoc per Apple: "Non vi è alcun accordo con nessuna azienda che preveda un’imposta di pagamento del 2% sulle società in Irlanda. È un’informazione errata". Un portavoce del dipartimento delle finanze irlandese ha inoltre aggiunto che il sistema fiscale irlandese è basato su uno statuto e che quindi "non c’è alcuna possibilità di singole offerte speciali sulle aliquote fiscali per le aziende".

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