Anne Deniau, Flair intervista la fotografa di Alexander McQueen

Cosa la colpiva di più del processo creativo di McQueen?

Era un vero artista, e ogni defilée una performance. La sfilata è un’esperienze che ha una vita breve, così (schiocca le dita,ndr), ma  con una potenza che può travolgerti. Anche se devo dire che, in tredici anni, non ne ho mai vista una: stavo sempre con lui dietro le quinte.

Dopo le sfilate McQueen non si lasciava intervistare.

Si  esponeva, in modo temerario. La passerella era l’attimo liberatorio. E, dopo, non aveva senso parlarne. Era anche stufo della solita storia di lui, figlio del tassista, cresciuto nell’East End londinese. Il suo messaggio era: «Giudicatemi dal lavoro. Il resto è solo una questione personale».

Perché crede che McQueen l’abbia voluta così a lungo e intensamente accanto a sé?

Per lui il “dietro le quinte” era il cuore di tutto. Anch’io lavoro così. La parte più interessante è quindi
 la costruzione del progetto. Volere una testimonianza era logico. In un modo che, non dovrei dirlo io, ma credo gli sarebbe piaciuto, l’avrebbe fatto sorridere.

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