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Alfano e il teatrino della vecchia politica

La vecchia politica. Ma proprio quella vecchia vecchia. La politica che si fa sulla pelle dei cittadini. Che è tutta costruita a tavolino. La politica non della prima Repubblica, ma della proto-Repubblica. La politica che non ha alcuna considerazione per l’intelligenza degli italiani. Lo spettacolo che si sta consumando sul Decreto Lavoro è questo. Una commedia delle parti con tre protagonisti principali, ciascuno calato in un ruolo prevedibile. Un giallo del quale si conosce la conclusione. 

Succede che il primo protagonista, Matteo Renzi, promette la rivoluzione nel campo del lavoro. Che è prioritario. Che è la prima delle emergenze (come risulta anche dai dati dell’Istat sul milione e 100mila famiglie prive di reddito da lavoro e sulla galoppante disoccupazione giovanile). Parla di Jobs Act, conia una formula inglese per indicare un qualche allineamento a politiche avanzate di stampo anglosassone (o sassone). Peccato che il Jobs Act sia già stato rimandato, nella migliore delle ipotesi, alla prima metà del 2015. L’unico provvedimento concreto di modifica della sciagurata legge Fornero è il DL Lavoro, che nelle intenzioni avrebbe avuto un effetto forse limitato ma benefico sulla flessibilità dell’accesso e avrebbe incoraggiato le aziende, se non a assumere, almeno a ingaggiare in vista di una possibile assunzione. Meglio che niente. Renzi ha però smesso di cavalcare il DL lavoro nel momento in cui si è reso conto che la sinistra interna del Pd (il secondo protagonista della nostra storia) lo aveva trasformato in pretesto per ricordare a tutti di esser viva. Come? Ripristinando certe rigidità della legge Fornero attraverso modifiche al testo in Parlamento, il tutto in base all’assunto ideologico del “posto fisso”.

A questo punto interviene il terzo protagonista: Angelino Alfano, l’NCD, che in pieno clima da campagna elettorale doveva pur trovare il modo per distinguersi dai compagni di cordata del Pd e da Renzi. Sarebbe stata quasi una giusta battaglia quella degli alfaniani, a cominciare da un esperto di lavoro qual è l’ex ministro Sacconi, se non fosse che tutti sanno quale sarà l’esito della baruffa: la fiducia, il “sì” dell’NCD. Siamo all’operetta su un tema che non lo merita. Il lavoro è sangue, dolore, speranza, paura, miseria o benessere, futuro, morte o vita. Non è tema sul quale si possa inscenare una commedia elettorale ben sapendo che questo schermistico incrociarsi di sciabole tra la sinistra Pd e l’NCD non è altro che un disperato modo per riconquistare una visibilità purchessia. 

Renzi deve aver valutato che, in fondo, la diminuzione da 8 a 5 del numero di proroghe possibili per i contratti a tempo non incrina la direzione della sua rivoluzione, che ha oggi altri obiettivi. Si scannassero gli oppositori interni e gli alleati di governo. Tanto alla fine su tutto calerà la fiducia, la legge ci sarà, la controriforma anche, la Fornero sarà riesumata, il lavoro mancherà come prima ma tutti avranno avuto il loro inutile momento di gloria. 

Si spiega così la sicura fiducia su un provvedimento che non è neppure quello inizialmente partorito dal governo Renzi. Si spiega così il fuoco (fatuo) di sbarramento degli alfaniani. L’eterno teatrino di Montecitorio.

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