A ogni istante le ginocchia mi cozzano contro il ricordo di te

La donna asfissiata nel vestibolo della sua casa a Pompei, rimasta bloccata nella posizione di chi scappa dalla lava che deve esserle entrata in bocca e nelle narici facendo di lei una statua vuota: è l’immagine più vicina allo stato che il libro di cui sto per parlare cerca di descrivere, quell’«accerchiamento» e quel pietrificante accanimento che determina la fissità, e la «concentrazione totale su una particolare creatura».

È un prodigio che riesce solo al fuoco, alla morte e all’amore: «prolungare nell’altro mondo i corridoi della fuga». L’espressione è di Marguerite Yourcenar, inventata per Fuochi, elegia polifonica e medicamentosa (è «nato da una crisi passionale») di un amore irreparabile.

Yourcenar tenta un esperimento: essendo l’amore sempre lo stesso demone, e le sue vittime ciascuno di quelli che sono passati per regioni fisiche o psichiche del pianeta, quando si soffre tanto vale soffrire le pene di tutti, di sempre. L’autrice-martire presta le sue lacrime e la sua voce allo spasimo inattuale dei grandi abbandonati del mito e della storia, nel quale possiamo distinguere l’eco del nostro.


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